Si può governare galleggiando?

Si può governare galleggiando?

di Alberto Faustini

Ha sempre più l’aria del calabrone, il governo italiano. Vola, ma è inspiegabile come faccia a restare in aria. È come se a Palazzo Chigi ci fosse appeso un grande cartello: non sparate sul pianista. Ma tutto il resto è degno dei Western nei quali il cartello l’abbiamo visto mille volte: colpi di qua, colpi di là, gente che spara, gente che viene colpita ma che si rialza come se niente fosse. A parole - salvo Renzi, che è di una disarmante trasparenza - tutti vogliono spargere colla su Conte affinché resti in piedi. La battuta migliore è forse quella di D’Alema, che resta un esperto mondiale di crisi (anche provocate da lui) e di governi cadenti (non solo guidati da lui): «Non si manda via l’uomo più popolare del Paese per fare un favore a quello più impopolare».

Non so se Matteo Renzi sia l’uomo più impopolare d’Italia. Agli occhi di D’Alema è tale fin da quando era in fasce, ma c’è il rischio, a forza di trattarlo come Pierino (e Renzi non fa nulla per non sembrarlo), che non lo si ascolti nemmeno quando è fra i pochi a vedere il lupo. Il lupo, come risulta evidente, non è solo la pandemia. È anche l’immobilismo, l’antica arte di governare per non scontentare nessuno.

Arte che alla distanza finisce per portare l’intero Paese, e non solo chi lo guida, in qualche secca. Quando lo si accusava di tirare a campare, Giulio Andreotti rispondeva che è sempre meglio che tirare le cuoia. Ma questa volta «tirare a campare» sembra il motto di un intero Parlamento tenuto insieme solo dalla paura di dover tornare a casa (con biglietto di sola andata) e dalla consapevolezza di non essere mai stato in grado di esprimere una maggioranza omogenea. Renzi - che è passato in un soffio da inscalfibile leader del futuro a comparsa un po’ patetica di uno spettacolo nel quale non c’è più spazio per lui - non è credibile. Perché nelle sue parole tutti vedono tatticismi ed equilibrismi non diversi da quelli portati avanti da famosi partiti dello zero virgola ai tempi del pentapartito: le sparo grosse così almeno mi mollano una caramella. Ma indica una serie di (veri) problemi, anche se tutti tendono a guardare solo il suo dito e a chiedersi cosa voglia ancora il ragazzaccio. E così si procede di penultimatum in penultimatum: facciamo la voce grossa, ma non così grossa da farlo cadere davvero, il governo.

Il che consente al sughero Conte - che ha tutto e niente da perdere, visto che un giorno è di nuovo professore e il giorno dopo il candidato di punta per il Quirinale - di galleggiare di giorno in giorno. Non so se l’avvocato degli italiani (definizione sua, un po’ superata dagli eventi mi sentirei di dire) sia l’uomo più popolare d’Italia e mi chiedo spesso se popolarità e stima o fiducia siano davvero dei sinonimi, ma so che cercare di arrivare alla fine della legislatura, con un Paese in ginocchio, col solo obiettivo di restare a galla, non può essere considerato un programma serio.

Dalle crisi si può uscire. Bisogna però prendere atto di ciò che le provoca. E persino le elezioni, a un certo punto, sono meglio di un estenuante temporeggiare.

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