Se solo la scuola ascoltasse Mario Draghi

di Alberto Faustini

Da una parte Mario Draghi. Dall’altra il caos. Non paragono la lucidità dell’ex presidente della Banca centrale europea - che tutti già immaginano o sognano alla guida di un governo di salute nazionale - all’incedere claudicante del governo Conte. Mi riferisco a ciò che ha detto Draghi a Rimini («Il futuro dei giovani è a rischio, bisogna dar loro di più») e a ciò che sta facendo o non facendo la ministra Azzolina per quel che dovrebbe riguardare proprio i giovani e il loro futuro: la riapertura della scuola.

Al meeting di Cl, Mario Draghi ha parlato di un debito che dovrà essere «buono»per non caricare «le nuove generazioni di un’eredità insostenibile, che potrebbe creare una delle forme più gravi di diseguaglianza». E ha aggiunto che si corre il pericolo che ai giovani «resti la mancanza di una qualificazione professionale che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e i loro redditi futuri». La pandemia - ad avviso dell’ex capo della Bce - potrebbe creare «una distruzione di capitale umano senza precedenti».

Il riferimento alla scuola, ai mesi in cui alcuni hanno fatto i salti mortali per insegnare e apprendere a altri ne hanno approfittato per fare una lunga vacanza, è chiaro. La sociologa Chiara Saraceno ha parlato della scuola come di «un concentrato di impreparazione e superficialità nell’affrontare i problemi, unito a quella che sembra quasi un’opera di sistematico scoraggiamento di chi si adopera per trovare soluzioni». I bandi per gli acquisti dei banchi monoposto (perfetti, con quelle rotelline, per essere trasformati in autoscontro) sono stati espletati ad agosto, anche se l’emergenza, per la scuola, è iniziata a marzo. I comitati tecnico-scientifici - ne parlo al plurale perché non so più quanti comitati e quante taskforce ci siano in Italia - hanno dato indicazioni diverse, per non dire contraddittorie, di giorno in giorno, costringendo i dirigenti scolastici a girare con il metro in tasca cercando soluzioni (grandezza delle aule, spazi diversi per entrare e uscire, orari differenziati...) che di settimana in settimana sono diventate o inutili o già superate.

Mentre si parla ancora di mascherine obbligatorie e mentre chi ha spazi più ampi insiste giustamente nel proporre delle alternative, si scopre, a ormai pochi giorni da una riapertura che tutti considerano fondamentale anche dal punto di vista simbolico, che all’appello mancano diecimila aule, soprattutto al Sud. Poi c’è l’incognita delle responsabilità penali dei dirigenti scolastici nel caso di un ritorno (che in troppi danno per scontato) del Covid-19. Speriamo solo che la nostra autonomia capisca prima di altri che il futuro di cui parla Draghi si costruisce (o si distrugge) a scuola.

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