L'importanza della credibilità

L'importanza della credibilità

di Alberto Faustini

Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma quanto siamo stati credibili.

L’uomo che ha detto questa frase è stato barbaramente ucciso dalla mafia esattamente 29 anni fa: il 21 settembre del 1990. Si chiamava Rosario Livatino. Aveva 37 anni. Ne avrebbe compiuti 38 venti giorni dopo. Come molti ricorderanno, era l’uomo - sì, l’uomo, perché a 37 anni si è uomini, a maggior ragione se si è magistrati - che l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga definì - a dir poco incautamente - il giudice ragazzino.

Livatino era un uomo di grande fede - come sottolineò qualche tempo dopo anche Papa Giovanni Paolo II, abbracciando i suoi genitori -, ma era prima di tutto un uomo di grandi ideali. Ripenso a lui per più ragioni, in questi giorni. La prima è persino banale: perché tendiamo a dimenticare tutto e perché dobbiamo dunque ritrovare qualche punto fermo. Ricordarci da dove veniamo. Quante vite sono state ad esempio sacrificate in una guerra che non è mai finita, ma che si sta solo trasformando, entrando in mondi invisibili e spesso incontrollabili, come quello della finanza.

Ricordare Rosario Livatino significa pensare a quante donne e a quanti uomini, anche oggi, mentre alcuni vogliono indurci a pensare che la mafia sia stata quasi debellata, lottano contro la criminalità organizzata.

Ma la frase di Livatino fa anche pensare alla politica di oggi, a un universo che spesso mette il proprio “credo” (meglio: ciò che elegge autonomamente a proprio credo) davanti ad ogni cosa, immaginando per questo di risultare credibile. Fuor di metafora: Matteo Renzi dovrà ad esempio dimostrare di essere credibile (e coerente) sul campo. Molti già prevedono (e forse auspicano) che non farà nulla di diverso da chi l’ha preceduto: sgonfiando le gomme di chi l’ha sostituito, si chiami Conte o Zingaretti, e consumando solo una vendetta. Altri s’aspettano invece molto da lui. La ricostruzione di un’area moderata e un nuovo dialogo con mondi ai quali la politica non ha più saputo parlare: i giovani, ma anche i disoccupati, gli italiani che faticano, le tante persone illuse da più di un governo che hanno da tempo smesso di votare. Ecco allora che la parola credibilità risulta determinante. Perché anche nell’epoca della comunicazione istantanea, delle dichiarazioni che si rincorrono a gran velocità e che spesso servono solo come armi di distrazione di massa, alla lunga conta una cosa sola: quello che si fa, non quello che si dice.

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