Un femminicidio e mille domande

Un femminicidio e mille domande

di Alberto Faustini

Sembrava una discesa. Era invece l’ennesima salita. La gioia apparente, quasi ostentata, che si fa ultimo respiro. Silenzio. Dolore lancinante.

Il femminicidio di Nago ha tutti gli ingredienti di molti dei drammi che lo hanno preceduto. Tragedie che riempiono pagine di cronaca. Storie che si ripetono all’infinito. Barbarie in una società che fatica a mettere i sentimenti al posto giusto. Qui non c’è amore. C’è la desolazione che abita ai confini della società. C’è la violenza che porta ancora una volta morte e disperazione. La apparente normalità che di normale non ha nulla.

L’unione di due difficili solitudini che non è un cerchio che si completa, ma un anello spezzato dalla brutalità gratuita, dall’alcol, dai sorrisi di plastica postati sui social che oggi sembrano farsi beffa di chi non ha capito, non ha intuito, non ha potuto impedire che la violenza che già aveva segnato il percorso di questa coppia sfociasse nel dramma del bar Sesto grado. Il luogo dal quale ci fermiamo a guardare un lago sconfinato che diventa teatro di uno sconfinato dolore. Eleonora che non respira più e Marco che dice di non ricordare nulla. Una notte che riempie di buio la vita e che spezza la voglia di costruire finalmente qualcosa di buono.

Spetta agli inquirenti ricostruire i dettagli, spetta alla giustizia emettere sentenze. Ma di fronte all’evidenza, di fronte a una fragilità estrema, di fronte soprattutto ad atteggiamenti violenti che per alcuni sono quotidiana modalità, qualche domanda dobbiamo pur farcela. Dire - come fa Marco e come prima di lui hanno fatto troppi uomini, recitando una formula sempre uguale - che Eleonora era la donna della vita, non può significare disporre della vita di chi abbiamo accanto.

Non c’è, nel delitto di Nago, solo un problema di educazione sentimentale. Siamo di fronte a una violenza primordiale che non può perpetuarsi sempre, che non si può accettare in silenzio, come fanno (anche) molte donne, che spesso preferiscono non denunciare gli uomini che hanno accanto o che sono sempre disposte a perdonare, a dare un’altra possibilità, scambiando il dolore e a volte anche la paura della solitudine per un’assurda e fors’anche incomprensibile forma d’amore. Fermare e anche solo cercare di arginare ciò che ci travolge da sempre - questo senso di possesso scambiato per amore, questo abbraccio che strangola ogni emozione, questa forza che spezza ogni esistenza - non è semplice. E non è facile trovare risposte. Ma non si possono eludere all’infinito le domande.

Soprattutto una domanda: Eleonora si poteva salvare? C’è una emergenza sociale e culturale di cui non cogliamo l’urgenza? Ci sono cose che non abbiamo saputo vedere o capire? La montagna che tanto amava Eleonora è oggi una montagna di dubbi.

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