L'Italia di Sergio e di Emanuele

L'Italia di Sergio e di Emanuele

di Alberto Faustini

Poi c'è Sergio, il presidente che ci mette la faccia: l'uomo che con quegli occhi chiarissimi, insieme pacati e fermi, simili in tutto alle parole che dice, fa sapere al Csm che il «coacervo di manovre mina il prestigio della magistratura». Manovre che riguardano, come si ricorderà, l'atteggiamento di alcuni magistrati e il perverso rapporto che li lega ad alcuni politici, uomini delle istituzioni portati a confondere il loro ruolo collettivo con i loro piccoli affari privati, con i loro piccoli interessi personali.

Il presidente della Repubblica gira pagina, ma prima mette il coltello nella piaga. E illumina ciò che si tende a mantenere nell'ombra e a considerare normale: il mercato delle toghe. Perché la politica - non tutta, per fortuna - trova normale condizionare, occupare, influenzare, piegare, spostare. E perché una certa magistratura - non tutta, per fortuna - trova normale, come ho già scritto parlando di una divisione dei poteri che rischia di saltare, mettere la propria carriera nelle mani del politico di turno da assecondare e blandire. Mattarella è molte cose: un testimone tragico (un attimo dopo l'attentato s'è trovato fra le braccia il fratello Piersanti, ucciso dalla mafia); un docente acuto; un fine giurista; il garante della Costituzione.

Ma è prima di tutto un politico che nobilita la politica. Che dà un senso a chi cerca, in ogni ambito, di disegnare un Paese, di dargli delle regole, di farlo crescere. Perché la politica dovrebbe essere questo: non ululati, promesse e intrecci, non sfida contro chi c'era prima e chi ci sarà dopo, ma impegno costante per qualcosa di più grande, che si chiama comunità. Piccola o grande che sia.
Poi c'è Emanuele, il sindaco che prima di abbandonare il municipio di Rocca di Papa in fiamme, s'accerta - chiamando tutti per nome - che ogni persona sia salva. Crestini è morto per le ustioni che gli hanno intossicato i polmoni. Come un comandante, ha lasciato per ultimo la nave che s'inabissava nel mare di fuoco.

Ha perso la vita per salvare le vite degli altri. Eroe civile. Emblema del rapporto - e della fiducia - che dovrebbe legare ogni amministratore a ogni amministrato. Emanuele era un barista, un laureato, un sindaco. Ed era prima di tutto un politico, un uomo che ha saputo spendersi fino all'ultimo per gli altri. Non ha pensato a cosa sarebbe stato più semplice e più comodo fare. Ha scelto la via più difficile. E l'ha affrontata. Con autorevolezza. Senza autorità. Con amore, senza arroganza.

Poi c'è quest'Italia migliore, che merita d'essere emulata e raccontata ogni giorno.

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