Quando i poteri si confondono

Quando i poterisi confondono

di Alberto Faustini

Senza scomodare Montesquieu, che nel 1748 («Spirito delle leggi») fu il primo a teorizzare la separazione dei poteri - legislativo, esecutivo e giudiziario - e senza prendere per buono tutto ciò che scrive nel suo ultimo libro un Piergiorgio Odifreddi particolarmente sferzante (titolo emblematico: La democrazia non esiste), va ammesso che qualcosa non funziona, almeno in Italia. Legislativo ed esecutivo tendono infatti a diventare un unico potere.

Il secondo si sta infatti mangiando il primo.

Un tempo i parlamenti (o i consigli provinciali, se preferite) facevano leggi che poi i governi (gli esecutivi) appunto eseguivano e mettevano in pratica. Oggi i governi tendono a fare (o ad annunciare, per essere precisi) leggi e decreti che i parlamenti - o i consigli provinciali, se preferite - ratificano. Procedura che ha a dir poco svilito il ruolo di ogni Parlamento e che ha reso labile il confine - che in una buona democrazia dovrebbe invece essere marcato - fra i due poteri.

Questa debolezza, fra l'altro, ha contribuito a screditare il ruolo - un tempo prezioso nei fatti, ma anche nel peso che a questi fatti attribuiva l'opinione pubblica - di deputati, senatori o consiglieri. Pensate, banalmente, allo scontro sui vitalizi: chi tende a confondere i costi della politica con i costi dei politici e, soprattutto, con i costi della democrazia, arriva ad accettare che un presidente o un ministro o un assessore prendano uno stipendio discreto, ma trova intollerabile che il legislatore, perché questo dovrebbe appunto essere un parlamentare o un consigliere, prenda un'analoga indennità.

Sembra un dibattito noioso, ma è un tema che non solo riguarda tutti noi, ma che attiene al rapporto che ognuno di noi ha con le istituzioni: ieri amiche di cui fidarsi, oggi - semplifico - nemiche di cui diffidare.
Ma questo è niente: perché il problema più delicato, nell'Italia di oggi, riguarda il potere giudiziario.

Al di là di quanto emergerà dalle inchieste, lo tsunami che sta travolgendo il Consiglio superiore della magistratura - terremoto nel quale non a caso qualcuno già vede una crisi di sistema - riporta a galla un tema antico: quello dell'indipendenza dei magistrati, di cui il Csm, non a caso presieduto dal capo dello Stato, è il garante (e controllore) assoluto.

Anche i bambini sanno che persino in magistratura esistono le correnti e anche un adolescente sa che più di un politico ama intrattenere rapporti con qualche giudice così come qualche giudice, magari anche solo auspicando un salto di carriera che poi non arriva, adora fare piedino a qualche politico.
Il problema è sempre il solito, in Italia non meno che altrove: separare il grano dal loglio.

Consapevoli della qualità e della forza del grano. Lo scontro fra politica e magistratura - magari sul terreno di una riforma della giustizia che rischia di nascere minata - fa male a tutti. C'è bisogno di indipendenza vera. E di autorevolezza. Gli anticorpi ci sono. Ma è giunta l'ora di usarli.

comments powered by Disqus