Festival, quelle assenze ingiustificate

Festival, quelle assenze ingiustificate

di Alberto Faustini

Il Festival è sempre il Festival. Il presidente Fugatti lo sa bene. E bene ha fatto, al di là delle sparate e delle minacce degli anni scorsi, a non buttare via un gioiello che non cambia solo i colori e il respiro della città, ma che rende Trento internazionale, aperta, di volta in volta nuova e piena di idee.

Alcune assenze pesano, però: quella di Matteo Salvini, prima di tutto. Perché in un festival dedicato al nazionalismo, alla globalizzazione e alla rappresentanza, l’intervento del vicepremier sarebbe stato non solo utile,  ma anche necessario. Normale chiedersi perché non sia venuto. Paura di qualche striscione innocuo e di garbate manifestazioni di (sgradito?) dissenso? Paura di mettere il suo timbro su quello che per molto tempo lui ha considerato una specie di fortino bolscevico, benché sia solo un crogiuolo di pensieri, anche opposti fra loro? Paura d’avvicinarsi troppo a un presidente Fugatti che non è esattamente un salviniano di ferro, come ben si nota dalla quotidiana diversità di atteggiamenti dei due? Paura di incontrare Tito Boeri, senza l’agenda e il prestigio del quale riesce difficile anche solo pensare di mettere insieme un evento del genere? Paura di confrontarsi con una realtà che i vangeli e i rosari non li brandisce, ma, se così si può dire, li applica e li rende concreti da sempre, a prescindere da ciò che vota?
 Una risposta precisa non è arrivata. E spero che Fugatti riesca a darla. E a darsela, soprattutto. Perché per due anni, da qui, non è passato il presidente del consiglio. Un fatto clamoroso, considerato che i premier l’aria del Festival dell’economia hanno sempre voluto respirarla e capirla.

Non è arrivato quello vero: Conte, che lo scorso anno era salito in cattedra da pochi giorni, ma che quest’anno, prima di partire per il Vietnam con Enrico Letta (che di qui è però riuscito a passare), poteva trovare un’oretta per tuffarsi in un luogo di confronto che un professore non dovrebbe mai temere. E non è arrivato - ripeto - anche quello che da presidente del consiglio s’è sempre comportato: Salvini, appunto. Né s’è fatto vedere Luigi Di Maio, che forse temeva il sincero ring della piazza più di quello edulcorato delle piattaforme virtuali grilline. Certo, è passato Giovanni Tria - che resta un ministro anomalo e discretamente precario -; non è mancato Fraccaro (che però è di casa) e s’è affacciato sul davanzale del Festival dell’Economia anche qualche sottosegretario. Ma le assenze pesano. E parlano, in un certo senso. Qualcosa s’è rotto?

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