L'Italia che sa ancora pedalare (oltre insulti ed odio)

L'Italia che sa ancora pedalare

di Alberto Faustini

C’è l’Italia che fa fatica, che si rimette in sella e che non smette di pedalare. Ma - benché l’esempio ricordi la quotidianità di molti di noi - è quella del Giro, che ieri è ripartito da Bologna: un ciclismo pieno di ricordi eroici e di nostalgia, ancor più che di speranze e di certezze.
C’è l’Italia che torna in piazza per far festa. Per tingersi di tricolore. Ma è quella dell’adunata degli Alpini: migliaia di persone che hanno fatto d’un ricordo spesso vissuto in salita quanto una tappa del giro d’Italia - il servizio militare - un evento indimenticabile. Un momento da tramandare e da riempire di leggende e di sorrisi. Come sta succedendo in queste ore a Milano.
C’è l’Italia dei sondaggi. Ma non è reale. È quella che si percepisce a due settimane da un voto che non risente solo degli umori oggi sempre più mutevoli degli elettori, ma anche di un’Europa che è sentita in modo nuovo e diverso: come opportunità (da chi ha ancora voglia di capire, ma senza una retorica figlia d’un passato troppo lontano), ma soprattutto come freno (da chi preferisce i muri ai mulini, per citare Enrico Letta).
Secondo il politologo Sergio Fabbrini «è ora di abbandonare gli ormeggi dell’inerzia culturale e politica». Appello rivolto ai sovranisti - che non capiscono che il protezionismo rende più poveri e più deboli - ma anche a chi non sa rivedere molte idee ingenue dell’europeismo, faticando a riconoscere identità nazionali che vanno invece valorizzate.
C’è l’Italia di molti politici italiani. Ma è quella tipica delle campagne elettorali. L’ultima trovata del ministro dell’Interno - di fronte a sondaggi che non autorizzano l’entusiasmo di settimane fa - è la multa di 5 mila euro per ogni migrante soccorso. Notizia che è spuntata mentre in mare morivano altre sessanta persone. Non migranti, profughi, fuggitivi, sognatori. Persone. Sì, persone.
C’è un’Italia che non capisce quanto sia faticoso, davanti al frullatore degli insulti e dell’odio, anche solo pensare di poter ridare dignità, peso e autorevolezza alla politica e alle istituzioni. Se ogni cosa - a cominciare dal dibattito sugli stipendi dei politici e sui tagli dei parlamentari - viene trasformata dalla stessa politica in rissa fra presunti buoni e presunti cattivi, al cittadino/elettore arriverà un unico messaggio: è tutto da buttare.
E così i tanti italiani che non ne possono più degli insulti si ritrovano orfani di esempi e di ideali.

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