La persistenza della pagina scritta

La persistenza della pagina scritta

di Paolo Ghezzi

Resistono, insistono, persistono i libri. Sono ancora forti, con le loro pagine di carta. Il Salone di Torino rilanciato dallo scrittore Nicola Lagioia vende 38mila biglietti in più, nonostante il boicottaggio dei grandi editori, la triste assenza di Einaudi, la fresca concorrenza fratricida di Milano.

Il primo Harry Potter, vent'anni fa, fu tirato in sole cinquecento copie. Oggi, decine di milioni di ragazzi in tutto il mondo l'hanno letto e ancora non si stancano.
Sono forti, i libri. A qualcuno fanno paura. A Bolzano, spaventato dagli intolleranti, il sindaco ha annullato la presentazione di un famoso autore svizzero-egiziano, docente in Inghilterra, perché un po' «troppo islamico». Paradossale, mentre il nuovo inquilino della Casa bianca va mellifluo (e con le valigie piene di armi) a incontrare islamici sunniti, ebrei conservatori, cristiani del Sepolcro.

Sono forti, i libri. Càpita, in una bancarella di libri a un euro - isola del tesoro per bibliofili, bibliomani, bibliofagi - di scoprire una «Via privata» dell'editore Valentino Bompiani, che con sapiente scrittura prova a spiegare la bellezza del pubblicare opere di carta: «Una pagina di stampa è pensata sino dall'origine per la moltiplicazione e chi la guardi entra in comunione con tutti gli altri, cui essa è virtualmente diretta. È possibile che da pochi segni su uno spazio bianco si muova e ci tocchi un flusso capace di modificare uno stato d'animo e di aprirci, fosse per un breve istante, a un inatteso benessere? Le forme grafiche vengono dopo la storia e quasi ne fermano e solidificano il significato. Eccessi o disordini sono ricondotti all'economia essenziale».

Ecco la bellezza di essere editori. «I libri li scrive qualcuno, che non è lui. Li stampa, normalmente, un altro, che non è lui. Li vende un terzo, che non è lui. Di suo, di se stesso, l'editore ci mette l'amore».

Da questo amore per il libro, Bompiani - cresciuto alla scuola del vecchio Mondadori - ha inventato la saggistica della contemporaneità, la monumentalità della sua enciclopedia letteraria, i grandi titoli dei suoi autori, spesso fermati dalla censura fascista: da Vittorini a Moravia, da Alvaro a Zavattini, dai Racconti di Canterbury a Steinbeck, da Graham Greene a Caldwell.
Peccato che l'amore per il libro non gli abbia impedito di accettare la proposta editoriale di un professore ebreo, Angelo Treves, che aveva tradotto il manifesto del nazionalsocialismo per spiegare la minaccia che si andava profilando in Germania.

Bompiani lo racconta senza fare mea culpa, come una fatalità, come se fosse inevitabile in quel clima di ventennio. Il libro si chiamava «La mia battaglia». L'autore, che scrisse un'introduzione ad hoc per l'edizione italiana, era un ex caporale austriaco, il futuro dittatore tedesco. Anche quel libro pieno di odio e di razzismo finì sotto le insegne dell'editore per amore. «Il libro uscì nel silenzio», ricorda Bompiani. Era il 1930.
Forti, i libri. Pericolosi, i libri.

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