Quando riappare chi è andato di là

Quando riappare chi è andato di là

di Paolo Ghezzi

Tornando da Fatima, dove ha santificato Francisco e Jacinta, due fratellini pastorelli portoghesi a cui sarebbe apparsa la Vergine un secolo fa (la Madonna predilige chi cammina e pascola con l’umiltà degli animali, di solito non appare ai laureati in scienze cognitive, ai commercialisti, ai primari e ai giornalisti) papa Francesco ha detto - alludendo all’altro luogo mariano di Medjugorje - che non lo convince una mamma di Gesù che manda messaggi a veggenti predestinati, con la frequenza di un bollettino nautico e con la regolarità di un ufficio telegrafico.

Faccenda complicata, quella delle apparizioni. A volte ci capita di rivedere per strada, per qualche attimo di autosuggestione, persone defunte da anni; a volte nei sogni i morti ci parlano, a volte ritroviamo - più «vive» che mai - persone di cui da lungo tempo abbiamo perso le tracce. A volte concludiamo discorsi e percorsi con persone che nella realtà non ci parlano più. Per chi crede, è un’anticipazione dei cieli e terre nuove in cui saremo in misteriosa comunione - e per l’eternità - con quelli che se ne sono andati da questa terra prima e dopo di noi.
Il fatto è che la nostra vita interiore, se la teniamo sveglia, eccede i confini della nostra biografia fisica, ne dilata gli orizzonti, ne allunga lo sguardo.

Josè Saramago, gran scrittore portoghese nato cinque anni dopo le apparizioni di Fatima non lontano da Fatima, immagina l’apparizione di Fernando Pessoa - il più illustre dei letterati lusitani - a Ricardo Reis, uno dei suoi «eteronimi», medico-poeta creato per scrivere in sua vece.
Il libro si intitola «L’anno della morte di Ricardo Reis». Il luogo è un albergo di Lisbona. Qualche giorno prima, appena sbarcato dalla nave transoceanica partita da Rio de Janeiro, il dottor Reis aveva assistito ai funerali di Pessoa, il maestro. Ma la notte di Capodanno (l’anno è il 1936, l’anno della guerra di Spagna) quando Reis torna nella sua stanza d’albergo dopo aver vagato solitario per le strade di Lisbona in mezzo all’allegria forzata dei festeggiamenti e ai cocci rotti dell’anno vecchio, vede una lama di luce sotto la porta eppure è sicuro di aver spento l’interruttore: «ha infilato la chiave nella serratura, ha aperto, seduto sul sofà c’era un uomo, lo riconobbe immediatamente, anche se non lo vedeva da tanti anni, e gli sembrò un fatto straordinario che lì ad aspettarlo ci fosse Fernando Pessoa...».

E che cosa ha fatto, il dottor Ricardo Reis, di fronte all’apparizione del gran scrittore trapassato? «...ha detto Ehilà, sebbene dubitasse che lui gli avrebbe risposto, non sempre l’assurdo rispetta la logica, ma fatto sta che lui ha risposto, ha detto Salve, e gli ha teso la mano, poi si sono abbracciati...».

Forse noi ce ne dimentichiamo, non ce ne accorgiamo, presi dalle nostre giornate fitte, ma ogni tanto i morti ci abbracciano. Ci accarezzano. Magari pensiamo: è un filo di vento, c’è corrente d’aria, mi è sembrato di sentire una voce, mi è venuto un brivido. E la logica cancella l’impossibile: che qualcuno riemerga da buie distanze, che qualcuno si avvicini, che qualcuno tenga alla nostra vita, che ci sia una specie di custodia.

Ricardo abbraccia Fernando e si mettono a parlare: «...ho pensato che non uscissi mai di là», si giustifica Reis, incredulo spiazzato. «Per ora esco, ho ancora un otto mesi per circolare a mio piacimento, ha spiegato Fernando Pessoa, Otto mesi perché, ha domandato Ricardo Reis, e Fernando Pessoa ha chiarito meglio, Facendo i conti giusti, di solito e in media, sono nove mesi, tanti quanti ne passiamo nella pancia delle nostre madri, credo sia per una questione di equilibrio, prima di nascere non ci possono ancora vedere ma tutti i giorni pensano a noi, dopo che siamo morti non possono più vederci e tutti i giorni ci dimenticano un po’, tranne casi eccezionali nove mesi è quanto basta per il totale oblio...».

E invece ci sono assenti che tornano a farci visita dopo nove anni, e voci che ci parlano ancora, chiare e forti, dopo novant’anni. Non solo perché adesso possiamo registrare i suoni ed evocare chi è andato oltre. Ma perché certe parole antiche continuano a vibrare. A vivere. Il miracolo più grande, a pensarci, non è la ricorrenza delle apparizioni ma la resistenza delle parole: capaci di annullare, come una freccia infuocata, lo spazio e il tempo.

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