Silvius Magnago fu contro il terrorismo

Silvius Magnago fu contro il terrorismo

di Luigi Sardi

«Io credo che i fatti avvenuti negli ultimi giorni portino soltanto danno alla nostra causa e ai nostri interessi». Era il 19 giugno del 1961, quindi 8 giorni dopo la famosa notte del Sacro Cuore che segnò l’inizio della guerra dei tralicci quando Silvius Magnago intervistato dal quotidiano viennese Kronen Zeitung dichiarò che «gli attentatori rovinano internazionalmente il nostro buon nome, danneggiandoci politicamente ed economicamente. L’opinione pubblica italiana si schiererà sempre più contro di noi e sono certo che anche il mondo libero condanna gli attentati posti in atto».

Magnago, all’epoca presidente della Giunta provinciale di Bolzano e della Volkspartei, soprattutto uomo molto amato dai sudtirolesi e rispettato per il suo rigore dagli italiani, anche da quelli di conclamata fede missina, aveva aggiunto: «Questi sono eroismi falsi e controproducenti… gli attentatori tradiscono gli ideali e non si rendono neppure conto dei danni che causano le loro azioni».

E’ vero. La raffica di attentati aveva spaventato un po’ tutti basti pensare che quando le redazioni dei giornali si mettevano in contatto con l’Alto Adige le operatrici della Sip – all’epoca le comunicazioni telefoniche interurbane passavano attraverso la loro prestigiosa manualità – chiedevano con voce ansiosa cosa stesse accadendo mentre fioccavano le disdette delle prenotazioni negli alberghi del Tirolo e il turismo, che proprio in quell’ anno di boom economico cominciava a crescere, vedeva accantonarsi l’idea di viaggi in Alto Adige e in Austria. Scriveva il quotidiano Alto Adige di martedì 20 giugno:
«I capi della Svp si rendono conto dell’inquietudine causata dagli ultras tra la popolazione e le autorità italiane che si trovano in presenza di un piano a carattere militare e alla volontà di separatismo» e al citato piano, la Repubblica aveva risposto con mano militare trasformando il territorio del Sudtirolo in una piazzaforte: posti di blocco, sentinelle, pattuglie dell’Esercito, divieti, restrizioni e i soldati avevano ricevuto un ordine: presidiare i luoghi che potevano diventare bersagli di attentati e aprire il fuoco se qualcuno si fosse avvicinato alle zone vietate.

Nella notte del 14 giugno una colonna di camionette, autocarri e blindati di un reparto della Celere era transitata lungo la statale del Brennero. Un veicolo dopo l’altro, gli uomini con gli elmetti, le armi in pugno, i fari a sciabolare l’asfalto, i motociclisti a bloccare i veicoli civili, in verità rari perché dopo l’esplosione dell’ordigno che a Cadino sulla statale del Brennero aveva ucciso lo stradino Giovanni Postal, il transito lungo quella strada era drasticamente diminuito. Pattuglioni di Carabinieri bloccavano e perquisivano – quelli erano davvero rari – gli automezzi con targa austriaca o germanica diretti verso le sponde dell’ Adriatico e l’industria del turismo che dalla fine della guerra cominciava finalmente a crescere subì un arresto nella terra tirolese.

Venerdì 16 giugno a Trento, nel palazzo di Corso Tre Novembre, il Commissario del Governo Giulio Bianchi di Lavagna firma un’ordinanza definita «mezzo coprifuoco».

Nel documento si legge che «si è creata una situazione di grave necessità pubblica che impone l’adozione d’urgenza di provvedimenti speciali». Dalle 21 alle 5 era proibito avvicinarsi e sostare vicino ad acquedotti, gasometri, bacini e centrali idroelettrici, dighe, ponti, canali, condotte forzate, gallerie, viadotti ferroviari, funivie, funicolari, stabilimenti industriali, magazzini, impianti di telefonia.

L’ordinanza avverte che «i contravventori si esporranno alle gravissime conseguenze che potrebbero derivare dalla inosservanza dei divieti disposti per effetto della reazione delle sentinelle armate che presidiano gli obiettivi».

E i soldati spararono. Dalle pagine dell’ Alto Adige di sabato 17 giugno. Il titolo è: «Attaccata dai terroristi una centrale» e il testo: «Il pronto intervento di un alpino di sentinella alla centrale idroelettrica della Montecatini di Premesa in val Gardena ha evitato che anche la scorsa notte i terroristi riuscissero ad attuare una delle loro imprese criminose».

Al «chi va là» quattro ombre misteriose si dileguarono nel bosco inseguiti da dodici colpi di Garand. Spari anche a Vandoies: una sentinella alla caserma della Guardia di Finanza «ha sparato contro alcuni individui che si celavano nel buio» mentre a Bolzano arrivano il battaglione mobile dell’Arma di stanza a Roma, il vice capo della Polizia Vincenzo Agnesina e faceva discutere un fondo molto discutibile del giornale Alto Adige intitolato «L’idra nazista».

Ecco qualche frase: «Che l’Alto Adige fosse da anni, molti anni, una pedina di facile manovra sullo scacchiere dei più inconfessabili interessi lo sapevamo da tempo. Quando nel 1935 l’Italia affrontò [sic!] l’Abissinia, l’Inghilterra mosse tutti in tentacoli in Alto Adige per colpire alle spalle l’Italia. Fra il 1936 e il 1939 Berlino manovrò a suo piacere i nazisti altoatesini per indurre l’Italia a sposare la causa dell’Asse e liquidare sull’altare delle Opzioni, i crediti italiani verso al Germania in guerra. Alla fine della seconda guerra mondiale inglesi e francesi fecero dell’Alto Adige il terreno di manovra dei loro agenti segreti» e più avanti nella lettura di questo testo, la frase: «Sapevamo di essere a contatto di gomito con quella specie di manicomio politico che è la provincia di Innsbruck, ma pensavamo che alla resa dei conti il buon senso degli altri Lander prevalesse sui furori bellicistici dei degenerati discendenti di Andreas Hofer…».

Dunque, scontro totale mentre Mario Scelba, ministro degli interni dal 2 febbraio del 1947 premiava i militari che avevano sparato e a Montecitorio, nella seconda giornata di dibattito sull’Alto Adige, Antonino Cuttitta, già generale del Regio Esercito ed esponente di spicco del Partito nazionale monarchico affermava che «l’Italia doveva denunciare l’accordo Degasperi-Gruber che non ha dato buona prova ed ha offerto infiniti appigli all’Austria per turbare i rapporti tra i due paesi e la tranquillità dell ’Alto Adige».

L’encomio di Scelba aveva scatenato molte sparatorie e a Sarentino era stato ucciso Josef Lochner 21 anni che nella notte stava dirigendosi verso il punto di partenza di una teleferica che abitualmente usava per tornare al suo maso mentre Hubert Sprenger, muratore di 25 anni che si trovava, come si legge sul giornale Alto Adige «a Malles, nelle immediate adiacenze di una palazzina in cui alloggiano le famiglie di ufficiali e sottufficiali del battaglione Tirano era entrato, senza rendersi conto, nel cortile interno dell’edificio e davanti alla sentinella, è fuggito determinando una inevitabile reazione del soldato».
E così i morti, dopo la notte dei fuochi, erano già diventati tre.

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