Nei boschi del Sudtirolo Hofer attacca i bavaresi

di Luigi Sardi

Quando i tirolesi guidati da Andreas Hofer sbucavano dai boschi e attaccavano i bavaresi Era il 26 dicembre del 1805 e a Presburgo – oggi Bratislava – veniva firmata la pace fra Napoleone, il vincitore delle battaglie di Ulma ed Austerlitz e Francesco d’Austria. Il Corso aveva sbaragliato le armate austriache, inglesi e russe. Era il trionfatore di quella che è passata alla storia come la battaglia dei tre imperatori e dopo il tempo delle stragi si stabiliva, ovviamente con solennità, di instaurare “pace ed amicizia” fra Parigi e Vienna che, per la sconfitta, perdeva fra i molti territori, la contea del Tirolo e il Vorarlberg ceduti ai bavaresi, alleati di Buonaparte.

Racconta l’Andreis nel suo libro - stampato nel 1856 ma scritto nel 1818, narra le gesta di Andreas Hofer - che l’ultima battaglia era stata per gli austriaci una carneficina. Quindicimila morti, ventimila prigionieri, poi c’erano i feriti, i dispersi, i mutilati. I francesi vincitori si erano presi quaranta bandiere, duecento cannoni, un numero enorme di schioppi, quattrocento carri, i cavalli, le salmerie, le donne che seguivano le armate.

Si legge nelle “memorie storiche varie”, i manoscritti contrassegnati dai numeri 26, 34 e 35 conservati nella Biblioteca Comunale di Trento, che “i monti spaventosi dei cadaveri, i feriti gementi a migliaia, svegliarono tanta compassione nell’animo di Francesco Imperatore, che determinò d’abboccarsi su quel campo di umana miseria con Napoleone. Abboccamento che fu il preludio alla pace di Presburgo del 26 dicembre, ed in virtù dei trattati veniva il Tirolo disgiunto dall’Austria e aggregato alla Baviera”.

Pietà per le vittime che sono davvero troppe, amarezza dell’Imperatore esternata nel messaggio inviato al governatore del Tirolo. «Arrivò per me il doloroso momento nel quale, per l’imperiosità delle circostanze, mi trovo nella necessità di rinunciare al Dominio del Tirolo. Quanto costi al paterno mio cuore questo sacrificio, lascio giudicare ai miei cari Tirolesi».

E’ scritto nel testo che sanciva la fine delle ostilità fra austriaci, francesi e bavaresi, che l’ instaurava “pace e amicizia” doveva, secondo le intenzioni della diplomazia, essere duratura; si capì subito che era fragile. Il re di Baviera si era allineato alla ventata di illuminismo che accompagnava il dilagare dei francesi nell’Europa e alle nuove regole dettate da Bonaparte. Eccolo ordinare la soppressione degli stati provinciali, togliere alla nobiltà i troppi privilegi, introdurre la coscrizione militare, intervenire negli affari ecclesiastici. Soprattutto cancellare il nome “Tirolo” imponendo quello di Baviera Meridionale.

Accadrà la stessa cosa nell’era fascista quando verrà imposto il nome “Alto Adige” voluto da Ettore Tolomei, il nemico dei tirolesi, e si rischiava la galera o il confino alle isole Tremiti indicando, magari al bar, come Tirol il territorio fra Salorno e il Brennero.
La sancita tregua diventa sempre più fragile e l’Austria si dimostra “oltremodo sdegnata contro la Francia”, preoccupata dalla “soverchia potenza” di Napoleone in un’ Europa dove si sentiva sempre più forte “rombare l’orribile strepito delle armi di Bonaparte”.

In Austria l’Imperatore Francesco non si limita ai proclami, ma “fortifica l’esercito per l’onore del trono” e questa mobilitazione “fa i tirolesi baldanzosi per l’amata Casa d’Austria dalla quale speravano la liberazione dalle ultime determinazioni del bavaro governo”.

Comincia la mobilitazione e Girolamo Andreis scrive: «Trovandomi nel marzo di quell’ anno in Bolzano, d’un tratto fui testimone della radunata di tremila soldati bavari che si dirigono a presti passi nella valle di Fiemme dove – così si legge nelle memorie – c’era stata una sollevazione che fu calmata con l’arresto di sacerdoti e capi famiglia» presi come ostaggi, caricati in catene su alcuni carri per essere portati a Verona. A Sacco, sempre secondo il racconto dell’ Andreis, gli abitanti vedendo i sacerdoti in ceppi, pensarono di assalire il convoglio per liberare i compatrioti ma la scorta armata era troppo numerosa e gli assalitori indecisi su come agire.

Però la rivolta era nell’aria e il 10 aprile e «gli abitatori della Pusteria furono i primi che per liberare la soverchiata patria sollevarono lo spaventevole grido dell’armi». Ecco sulla scena Andreas Hofer, indicato come oste in Sand di Passiria, chiamato generale Barbon per la lunga e folta e nera barba che aveva giurato di portare «sino al cangiamento delle politiche vicende».

Nei racconti lasciati dai testimoni di quelle giornate si narra che gli abitanti della Pusteria furono appunto i primi a raggrupparsi attorno allo stendardo tirolese e le immagini ci mostrano gruppi di uomini con i loro caratteristici costumi che lasciano masi e villaggi impugnando archibugi e ogni sorta di arma da taglio e punta dove primeggiano forconi, falci e sciabole e scuri e randelli ferrati «e lunghe baionette fermate in sulla cima di grossi bastoni».

Ecco il primo scontro il 10 aprile con i tirolesi che piombano su armati bavaresi che a Brunico stanno distruggendo il ponte di San Lorenzo per ostacolare l’avanzata di un’armata austriaca. I bavaresi indietreggiano nonostante l’arrivo sulla scena della battaglia «all’impensata e per buona ventura dei bavari», di due battaglioni di fanti e uno squadrone di dragoni, un’amata di 3000 fanti e 600 cavalleggeri francesi e le note di Girolamo Andreis tramandano che «la zuffa presso il ponte di Ladritsch ricominciava con indurita ostinazione». I tirolesi decidono di ritirarsi, si disperdono nel fitto dei boschi, sfuggono ai pattuglioni di soldati a cavallo e dopo aver nascosto le armi, tornano nei loro villaggi, nei loro masi. A riprendere la vita di ogni giorno.

Nell’epoca di Andreas Hofer i boschi erano il regno dei tirolesi. Comparivano all’improvviso, sparavano con gli archibugi, assaltavano, combattevano, sparivano. Di tanto in tanto drappelli di cavalleggeri francesi compivano brevi incursioni lungo sentieri ben tracciati verso raggruppamenti di masi per saccheggiare, distruggere, sparire.

Più di 100 anni dopo tornarono i francesi nei boschi del Tirolo quando dopo la notte del Sacro Cuore, la famosa notte dei fuochi dell’ 11 giugno 1961, fra Trento e il Brennero ci furono alcuni episodi di guerriglia ancora avvolti nel mistero. Uno di questi è narrato nel libro “Il mistero della Rosa dei Venti” dal capitato nell’ Esercito Amos Spiazzi di Corte Regia comandante del “Raggruppamento antiguerriglia Bolzano”.

Un reparto molto ma molto particolare dove si cantavano gli inni che furono della Repubblica Sociale Italiana, quella di Salò, quella di Benito Mussolini creata dopo l’8 settembre del 1943. Un ufficiale, appunto Spiazzi, altrettanto particolare. Di fede monarchica, entrato nell’Accademia militare di Modena il 4 novembre del 1952, ha sempre vestito la divisa anche dal 30 dicembre del 1973 al 18 giugno del 1998 quando venne inquisito – ma da ogni accusa è stato sempre e chiaramente assolto anche se ha sofferto sei anni di carcere preventivo – per il Golpe Borghese, la ricostituzione del partito fascista, la strage di Bologna, quella di Piazza Della Loggia a Brescia e imputato a Trento il 27 febbraio del 1990 dal procuratore capo Francesco Simeoni per la sua attività di “Ordine Pubblico” in Alto Adige.

Ecco cosa raccontò ai cronisti di giudiziaria dei giornali “Alto Adige” e “l’Adige” dopo essere stato interrogato appunto da Simeoni: «Ci attaccarono quando i boschi erano già scuri; una gragnola di colpi ci investì… sparammo a caso in direzione dei boschi. Chiamammo gli elicotteri che non vennero perché era buio; restammo tutta la notte inchiodati e in contatto radio con il distaccamento di Campodazzo. Alle prime luci dell’alba iniziammo il rastrellamento. Trovammo solo bossoli di fucile automatico francese ed un pacchetto di sigarette vuoto, pure di marca francese. Che ci facevano i francesi da quelle parti? Feci rapporto al Sios-e, il Servizio informazioni Esercito senza risultato».

Molti anni più tardi si raccontò che militari francesi erano presenti in Alto Adige forse a caccia di elementi dell’O.A.S. la sanguinaria Organization Armèe Secrète. O forse perché, in quegli anni di guerra fredda, fra i monti del Trentino e soprattutto del Tirolo ci si preparava ad affrontare l’ invasione dell’Armata Rossa.

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