Grande Guerra: una storia a 100 anni dalla fine/4

Grande Guerra: una storia a 100 anni dalla fine/4

di Luigi Sardi

L’idea di portare il confine del Regno d’Italia al Brennero continuava a confondere gli italiani, almeno quelli che nella primavera di 1915 in un’Europa già in fiamme avevano visto la guerra all’Austria come il coronamento del sogno risorgimentale, non una conquista territoriale. Poi il 15 aprile del 1915 era comparso nelle librerie il libro di Ettore Tolomei intitolato “L’Alto Adige” che aveva accentuato i dubbi fra quanti si preparavano ad impugnare le armi invocando Trento e Trieste italiane. Si legge (p.14) che “insieme coi 180.000 tedeschi vivono nell’Alto Adige 40.000 italiani, un quinto. Ma se consideriamo l’Alto Adige in unione all’italianissimo Trentino coi suoi 380.000 italiani compatti, allora l’intera regione montana dell’Adige, che conta 600.000 abitanti dei quali 420.000 italiani, risulta italiana quasi per tre quarti, quindi anche nazionalmente di pieno diritto nostra”. Un aspetto era certo: se il confine al Brennero era militarmente il più valido, sarebbe stato corretto avere gente straniera dentro i confini naturali d’Italia?

Fu proprio Gaetano Salvemini socialista, di spirito repubblicano, letterato, docente universitario, interventista convinto a comprendere che il roveretano Tolomei, l’inventore della frontiera del Brennero, predicava la conquista territoriale là dove Cesare Battisti indicava frontiere nazionalmente giuste, trasformando l’ultimo atto risorgimentale in una guerra imperialista.

Era l’ottobre del 1918, si era capito che la guerra stava per finire e bisognava arrivare al Brennero e, magari, attraversarlo prima dell’inizio dell’inverno. Ma il comando supremo del Regio Esercito era sempre più convinto che bisognava passare un’altra stagione in trincea anche se la propaganda socialista, sempre più accesa e convincente, aveva detto con chiarezza il no ad un altro inverno di guerra; francesi e inglesi aspettavano la primavera del 1919, i nuovi carri armati, soprattutto gli americani che trasportavano in Europa un numero enorme di soldati e di mitragliatrici Browning M 1917 che sparavano 600 colpi al minuto anche se tutti avevano capito che la guerra non sarebbe finita per una grande battaglia ma per la forza di un armistizio. Però gli alleati premevano sull’Italia per un’azione di forza e così fra il 15 e il 20 ottobre di un secolo fa si decise di preparare un piano di fondamento. Si doveva attaccare su tutta la linea del fronte e poiché Trieste era, da un punto di vista chilometrico, molto lontana si scelse di marciare su Trento e attaccare nel settore fra Mori e i fortini di Serravalle. Basta il nome ad indicare, là dove scorre l’Adige, un luogo molto stretto occupato dalle truppe italiane il 4 giugno del 1915 e lì inchiodate da oltre tre anni.

A Verona c’era stata una riunione dei vertici dell’Ufficio Ito, il segretissimo Ufficio Truppe Operanti. Erano state controllate le notizie sullo sgretolamento dell’esercito austriaco e quelle che arrivavano dalle grandi città del Regno dove cresceva l’apprensione: era stata chiamata alle armi la classe 1899, insomma ragazzi di 18 o 19 anni e le chiese si erano riempite di donne che pregavano per i loro figli e altre si erano aggiunte nei nomi dei loro padri, mariti, fidanzati, fratelli ingoiati dalla guerra. L’Italia al femminile si stava mobilitando: se le donne avessero abbandonato le fabbriche la Nazione sarebbe stata messa in ginocchio. Si cercò un’altra volta di commuoverla. Era già accaduto nel Sedici e così erano stati portati in piazza i grandi invalidi che chiedevano, nel sacro nome della Patria, di combattere fino alla vittoria. E ancora una volta la visione di quei corpi massacrati scatenò un’emozione e una rabbia che poteva divenire incontrollabile. I militari dovevano decidere; si tennero altre riunioni presiedute da Pietro Badoglio, definite “eccezionali” dagli ufficiali che erano stati ammessi: il tema era la preparazione di un piano di marcia su Trento. Si era stabilito che l’unico punto di sfondamento era a Serravalle e si cominciarono a far affluire nella zona di Ala i primi nucleo di reparti d’assalto: Arditi, Bersaglieri, Alpini.

A Trento, a fianco del rione di San Martino, passavano le rotaie della decauville costruita nella primavera del 1918 per rimediare, in qualche modo, alla mancanza di cavalli, carretti, autocarri. Trasferiva fra la città e l’aeroporto di Gardolo i materiali che arrivavano alla stazione Meridionale, quella che s’affacciava su piazza Dante. Si narra, ma forse è una leggenda, che un mucchio di sassi costrinse un convoglio a fermarsi e mentre i militari sgomberavano le rotaie, un gruppo di donne e ragazzetti sbucato all’improvviso saccheggiò un vagoncino che portava patate. I soldati imbracciarono i fucili, spararono in aria, il gruppo si disperse, le patate rubate vennero mangiate in fretta e si comprese che l’assalto alla Feldbahn era stato un atto deliberato, il segnale di rivolta dettato dalla fame divenuta intollerabile.

 

(4/continua)

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