Degasperi e Benedetto XV: l'incontro dimenticato

Degasperi e Benedetto XV: l'incontro dimenticato

di Luigi Sardi

C’è nella storia del Trentino una vicenda volutamente dimenticata: l’incontro nel tardo autunno del 1914 fra Alcide Degasperi e Benedetto XV alla ricerca di una tregua nel giorno del Natale. Il deputato al Parlamento austriaco e direttore del giornale «Il Trentino» aveva capito che la guerra era una terribile strage sul fronte occidentale, sui mari, in Serbia e in Galizia dove contro i russi combattevano e morivano migliaia di Trentini e così decise di andare a Roma, in Vaticano, dal Papa per indurlo a chiedere ai «potenti della terra» una tregua almeno nel giorno della Natività.

Un secolo fa non era facile incontrare il pontefice. Degasperi ci riuscì e lo convinse a scrivere quella famosa lettera che chiedeva la tregua e tornato a Trento raccontò sulle pagine del giornale che dirigeva, quell’eccezionale momento e l’atmosfera di tristezza e paura respirata nella capitale dell’Italia ancora neutrale ma scossa da violenti fermenti interventisti.

Da Nicola II «lo Zar di tutte le russie», a Francesco Giuseppe, Guglielmo di Germania, il Re del Belgio, il Presidente di Francia, il governo inglese e il re dei serbi accolsero la supplica del pontefice. Gli uomini di governo si erano accorti che la guerra uccideva un numero enorme di uomini, la distruzione dei materiali era gigantesca e una tregua poteva sfociare nella pace. Accettarono l’offerta del papa ma vennero convinti dai generali: gli strateghi dei vari eserciti avevano messo a punto i piani dell’offensiva finale, ovviamente vittoriosa, che a primavera avrebbe distrutto il nemico e messo fine al conflitto.

I trentini lessero con sorpresa una breve notizia telegrafata da Roma. «Il Santo Padre ha ricevuto in udienza privata l’onorevole Degasperi. Sua Santità, interessandosi paternamente delle nostre condizioni, impartisce con effusione, la benedizione alle famiglie, alle vedove, agli orfani dei morti in guerra, ai feriti, alle loro famiglie e a quanti soffrono le condizioni della guerra. Benedice anche il giornale» e, salvo errori, quello era il primo giornale, e per giunta un quotidiano austriaco, benedetto dal Papa.

Tornato a Trento, da buon cronista, aveva scritto un lungo articolo su quella visita. «Ecco l’Urbe era quasi deserta. Pochissimi i forestieri che vagano come ombre pensose tra le rovine del Foro. Alla fine del 1914 l’umanità non sente più il linguaggio dei secoli e non scruta i segreti della sua storia millenaria. Il piccone dell’archeologo si è arrestato» perché adesso «tutta l’Europa è un’immensa rovina, altri palazzi crollano, altri templi, altre basiliche cadono in polvere». Poi spiega il perché di quella visita davvero straordinaria: «E senza incarico, senza autorizzazione, ma anche senza presunzione alcuna e per una colleganza spontanea e naturale colle fibre più intime del nostro popolo, io mi sono sentito l’interprete di tutte le nostre anime, specie di quelle che soffrono più crudelmente e l’ho detto al Vicario di Cristo, al Padre comune, a chi rappresenta nella sede apostolica, il principe della Pace».

Degasperi suggerisce al Pontefice di preparare il messaggio per la tregua di Natale, quel messaggio di tregua simile a quello di Papa Francesco che invocando la misericordia implora la pace e descrive «la figura del Papa, esile e bianca sullo sfondo damascato della sua biblioteca che si agita nervosamente sotto il tormento di un desiderio vivissimo, quasi a scrutare nelle tenebre dell’Europa lo spazio aperto che gli permette di levare alta la fiaccola trionfatrice della pace».
Ecco Degasperi invocare la pace mentre un altro parlamentare austriaco – Cesare Battisti – compiva il suo giro nelle città del Regno per chieder agli Italiani di entrare in guerra.
La storia, straordinaria, dell’incontro di Degasperi con il papa visse l’attimo di una pagina di giornale. E nel furore di un’Europa in fiamme venne dimenticata.

Era l’estate del 1945 e dalla penombra della guerra perduta l’Italia vide emergere la figura di Degasperi, un personaggio inconsueto, e che proprio per questo, forse più rassicurante dei santoni prefascisti o dei tribuni alla Nenni. Questo trentino prestato all’Italia, come scrisse il «Corriere della Sera», era un uomo in grigio, dalla grigia e asciutta oratoria, dotato di senso dello Stato assimilato in terra d’Austria fin dall’alba del Novecento quando ancora regnava Francesco Giuseppe.
Paziente, calmo, refrattario alla retorica, non era un uomo dell’ideologia ma degli ideali e abituato alle ristrettezze di un bilancio familiare quasi da fame era parsimonioso, ligio al decoro e a principi di moralità oggi spesso ignorati. Divenne Presidente del Consiglio il 10 dicembre del 1945 giurando nelle mani di Umberto di Savoia perché nell’Italia distrutta dalla guerra regnava ancora Vittorio Emanuele III, il «Re soldato» della Grande Guerra.

Gli avversari politici – comunisti e socialisti, soprattutto Palmiro Togliatti «Il Migliore» del Pci – lo attaccarono con violenza rinfacciandogli, in un’Italia dove erano milioni i reduci del 1915-18, quell’essere stato deputato austriaco e di essere restato in Austria mentre il socialista Cesare Battisti aveva scelto il Regno per combattere il nemico del nord e catturato, era stato giustiziato nel Castello del Buonconsiglio. Lo chiamarono, anche con disprezzo, von Gaspar e quando il cristiano democratico divenne la figura dominante della politica italiana, agli storici della Democrazia Cristiana si presentò la necessità di creare un piedistallo patriottico e un passato irredentista all’ex deputato austriaco divenuto capo del partito e del Governo.

Si cancellò tutto il lavoro e l’impegno politico in terra d’Austria, e si mescolò la sua attività politica con quella di Battisti soprattutto raccontando – lo si legge nel libro «Degasperi al parlamento austriaco» di Gino Valori edito nel 1953 – «che il dott. Degasperi era stato sempre sincero amico di Battisti» e che «nel novembre del 1904 durante i fatti di Innsbruck – si voleva una Università in lingua italiana nella città austriaca – fu imprigionato assieme a Battisti». Vera la vicenda dell’arresto quando la lotta per l’Università italiana in Austria raggiunse il culmine nell’autunno del 1904 con i fatti di Innsbruck, la morte del fassano August Pezzey ucciso mentre stava dimostrando contro gli italiani, la serie impressionante di saccheggi di negozi con insegne o gestiti da italiani e l’arresto di 138 studenti fra i quali, con Battisti, Antonio Pranzelores, Giovanni Ambrosi, Mario Scotoni, Mario Magnano, appunto Degasperi. Falsa l’amicizia fra i due giornalisti che invece si scontrarono duramente dalle colonne dei rispettivi giornali. Battisti dal quotidiano socialista «Il Popolo», soprattutto nell’epoca che vide Benito Mussolini redattore capo del giornale; Degasperi dal foglio cattolico «Il Trentino».

Si ficcarono nel dimenticatoio il lungo, estenuante lavoro di ricerca dei nomi dei morti, dei feriti, dei prigionieri e dispersi trentini sul fronte russo pubblicati ogni giorno sul giornale, gli incontri di Degasperi nelle «città di legno» con i trentini profughi nella loro patria e assediati dalla fame dopo quel 24 maggio del 1915 e anche il famoso incontro con il papa, quell’essere arrivato sulla soglia della pace, momento fatto rivivere nel recital «1914 Degasperi e il Papa» che, preso dagli articoli di «Il Trentino» e dalla penna di Degasperi, racconta una pagina davvero straordinaria ma dimenticata della storia d’Europa.

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