Il geniale Arturo Benedetti Michelangeli

di Alessandro Tamburini

Vi sono figure di artisti che esercitano un fascino straordinario e arrivano ad assumere tratti quasi leggendari. A questa schiera appartiene Arturo Benedetti Michelangeli, di cui molto si è scritto quest’anno, nel centenario della nascita, e che viene celebrato anche in Trentino, terra con la quale allacciò un lungo e profondo legame. Alla sua fama contribuirono certo alcune sue scelte radicali, come l’autoesilio in Svizzera, con il rifiuto di suonare in Italia negli ultimi trent’anni a seguito di un’offesa ricevuta, e ancora di più il suo rapporto quasi maniacale col proprio strumento, per cui arrivava a portare nelle tournée due pianoforti e talvolta, ancora insoddisfatto della resa acustica, ad annullare un concerto anche all’ultimo momento.

Come pure certi gesti clamorosi, e fra i più famosi vi è quello in cui fece portare fuori dalla sala di un concerto tenuto in Vaticano delle piante, disturbato dal verso di un grillo che vi si era annidato.

Questo e altro spinse molti a tacciarlo di narcisismo e di culto della propria personalità, ma chi lo ha conosciuto bene ha sempre smentito tali accuse.
Di certo era un eccentrico e un perfezionista, al quale l’immenso talento consentì di prendersi libertà concesse a pochi e di seguire un proprio originale stile di vita.

Viene proprio dalle esperienze che lo legarono al Trentino, e dalle testimonianze di quanti ne furono partecipi, la conferma che dietro lo scudo di distacco e riservatezza il Maestro era persona genuina e affabile, e che il suo perfezionismo era dettato da un estremo rispetto nei confronti del pubblico e ancora di più dei compositori che eseguiva. Per questo motivo, del resto, in una vita dedicata alla musica fu relativamente limitato il numero di brani incisi o eseguiti in concerto, mentre gli amici raccontano di serate in cui ne suonava per ore, e splendidamente, moltissimi altri che però a suo modo di vedere non avevano raggiunto il livello che si prefiggeva.

Sappiamo bene che fra i più cari di questi amici ci furono i fratelli Pedrotti, fondatori e animatori del Coro della SAT, e come da questo incontro sarebbe nato un sodalizio musicale che avrebbe prodotto esiti memorabili. Una serie di casi fortunati vi contribuirono, fin dal lontano 1936, quando in un intervallo del concerto tenuto dal Coro a Brescia si esibì l’allora giovanissimo pianista, il quale poi fu chiamato nel 1949 a tenere un corso di perfezionamento al conservatorio di Bolzano, dove avrebbe poi insegnato nei successivi dieci anni. E lì nacque il rapporto di reciproca stima e affetto con Enrico Pedrotti, che presto avrebbe fruttato al Coro le prime armonizzazioni del Maestro.

Si può restare stupiti pensando a Benedetti Michelangeli in qualità di armonizzatore di canti alpini, lui che non si concesse alcuno sconfinamento nella composizione, e invece ne avrebbe realizzate ben diciannove lungo l’intero arco della sua attività artistica. Uno splendido lavoro che si può trovare raccolto in un’edizione completa e rappresenta una vetta ineguagliabile nell’opera del Coro della SAT, con brani come «La mia bela la mi aspeta», «Entorno al foch» o «‘Ndormentete popin», per citarne solo alcuni.
Nel 1959 Benedetti Michelangeli chiuse il suo rapporto col Conservatorio di Bolzano, ma gli incontri coi Pedrotti continuarono in una baita della Val di Rabbi, in cui il Maestro soggiornava per periodi di riposo e di concentrazione, ospitando anche allievi soprattutto stranieri, e dove Silvio Pedrotti andava a fargli visita.
Una delle testimonianze più toccanti di quei periodi trascorsi fra i monti e dell’atmosfera che il Maestro creava intorno a sé è stata raccolta da Francesco Dal Bosco, regista trentino recentemente scomparso, per il suo documentario intitolato «Il Coro», realizzato nel 1998 dopo un lungo e appassionato lavoro di ricerca sul Coro della SAT.

Ne è protagonista Gemma Penasa, governante del Maestro per quasi trent’anni, che lo ricorda come una persona di spiccata personalità e distinzione, ma anche gentile e benevolo. Racconta che al ritorno dai suoi concerti le raccontava di avventure e viaggi aerei, e in particolare parla di un Natale in cui, appena tornato dagli Stati Uniti con due giovanissime allieve giapponesi, volle fare un albero di Natale per i bambini della frazione, per il quale non si dovettero comprare molti addobbi, perché le due giapponesine sapevano ricavare magnifici decori anche da una semplice carta di caramella. E sottolinea che il Maestro non solo le consentiva ma la esortava a portare con sé i propri bambini sul lavoro, cosa inusuale che la stupiva molto, e come facesse di tutto per mettere a suo agio lei e tutti quelli che aveva intorno. Era una persona “accordante”, lo definisce con un neologismo che pare perfetto per un musicista.

Non sempre dietro un grande artista c’è anche un grande uomo, ma anche le parole della fedele governante confermano che Benedetti Michelangeli lo era davvero.

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