Sfidare Roma adesso è dannoso

Sfidare Roma adesso è dannoso

di Lorenzo Dellai

Ne capisco bene le buone ragioni, ma non so francamente se la scelta di sancire con una Legge Provinciale l’anticipo della cosiddetta Fase Due - al di là del merito - sia indovinata sul piano giuridico-istituzionale.

Da più parti è stata giustamente posta la questione della “tenuta” costituzionale dei provvedimenti adottati dallo Stato attraverso Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da ultimo anche nei confronti del ruolo stesso del Parlamento.

Alcuni autorevoli esperti di Diritto e di Autonomia (cito per tutti i professori Toniatti, Pallaver e Palermo) hanno affermato - pur se con accenti diversi - che si rende necessario un chiarimento sul tema: in che modo, con quali forme e con che limiti lo Stato gestisce le emergenze sia verso i cittadini che verso le Autonomie?
Guardando a ciò che succede nel mondo ed anche in Europa (per esempio in Ungheria) la questione è tutt’altro che secondaria.
Giuseppe De Rita ha parlato di esasperata “statalizzazione” di ogni forma decisionale, anche di dettaglio, ben oltre il limite del ragionevole.
Tuttavia: siamo sicuri che forzare ora la situazione con due Leggi Provinciali - destinate con ogni probabilità ad essere impugnate dal Governo di fronte alla Consulta - sia la soluzione più utile per difendere la nostra Autonomia?

Oppure invece non corriamo il rischio di un pericoloso effetto boomerang?
Ricordo la recente affermazione della Presidente della Consulta Cartabia, la quale ha affermato, in buona sostanza, che certamente non esiste nel nostro ordinamento un “diritto costituzionale speciale” per le emergenze, ma ha anche chiarito che provvedimenti straordinari di limitazione delle libertà in tali circostanze sono compatibili con la Costituzione, purché “proporzionati e limitati nel tempo”.
Oltretutto, nonostante il grande impegno di operatori e istituzioni, ad ogni livello, i “numeri” relativi alla situazione del contagio in Trentino non sono proprio così eccellenti.
Certo, scontiamo un limite strutturale in Italia: lo Stato, alle solite, pensa di recuperare autorevolezza accentrando decisioni anche di dettaglio, invece che dimostrando capacità di “governo” di un sistema istituzionale e sociale plurale.

La strada più efficace (l’unica sensata) era che lo Stato fissasse stringenti parametri di sicurezza sanitaria valevoli ovunque; affidasse ai poteri regionali - sopratutto se dotati di Speciale Autonomia - la responsabilità di applicarli sui rispettivi territori con tempi e modalità riferite alle specifiche situazioni; si riservasse la funzione di monitoraggio e controllo dei dati epidemiologici (posto che le pandemie non conoscono confini né nazionali, né men che meno regionali).
Una impostazione di questo tipo per una Fase Due “regionalizzata” sembra ora farsi strada a Roma, pur tra mille resistenze.

Forse, prima di forzare con una iniziativa legislativa provinciale, sarebbe dunque meglio ricercare fino all’ultimo un accordo in tal senso con il Governo (col quale peraltro si è aperta nel frattempo una delicata trattativa finanziaria), presentando una proposta tecnica credibile sotto il profilo dei protocolli di sicurezza sanitaria.
Per il futuro, invece, si può e si deve inserire anche il tema dei “poteri in emergenza sanitaria globale” nelle questioni aperte della riforma organica dello Statuto di Autonomia.

Ma per questo occorre lavorare molto - e non in piena emergenza - per costruire le condizioni politiche e di convinzione, sia in sede locale che nazionale e per presentare una proposta di sistema supportata da robuste visioni giuridiche e sociali, condivise il più possibile con le nostre Comunità Autonome.
Nel frattempo, non si deve neppure escludere l’ipotesi di intesa sul tema specifico dei poteri in emergenza attraverso lo strumento di una Norma di Attuazione dello Statuto, finalizzata a chiarire i termini della “leale collaborazione” tra livelli istituzionali nell’intero campo delle cosiddette “materie trasversali”.

Materie, cioè, che per la loro natura non possono che vedere un ruolo di garanzia dello Stato (e dell’Unione Europea), ma che possono essere gestite, nella loro definizione specifica, attraverso forme di intesa tra lo Stato e le Autonomie Speciali. E che - in una fase globale sempre più condizionata dalle interconnessioni che superano spesso i tradizionali confini delle rispettive sovranità - diventeranno il vero banco di prova per la tenuta di un impianto autonomistico come il nostro.

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