Covid-19, il senso dei sensi

Covid-19, il senso dei sensi

di Giovanni Pascuzzi

Nelle sue forme più gravi o addirittura letali Covid-19 provoca l'insufficienza respiratoria. Esso, in buona sostanza, attacca la relazione primaria e irrinunciabile che abbiamo con l'ambiente: il respiro, appunto.

Gli esperti ci dicono che chi viene colpito dal virus vede per lungo tempo compromessi il gusto e l'olfatto: altri due canali, sensoriali questa volta, attraverso i quali ci rapportiamo al mondo.
Ma Covid-19 obbliga ad agire in difesa anche le persone non colpite direttamente. E, ancora una volta, è un canale sensoriale a farne le spese: il tatto. Quando usciamo di casa dobbiamo indossare i guanti in lattice che limitano fortemente la nostra capacità di "percepire" le cose. Molto più del tatto ad essere gravemente ridimensionati sono i contatti umani. Un caro amico ha la propria figlia bloccata a Londra e, per quanto quasi impercettibili, certi passaggi di alcuni suoi post sui social fanno capire quanto doloroso sia questo distacco forzoso. Un altro amico, che sento più volte al giorno, non abbraccia la moglie da tante settimane perché il distanziamento sociale forzoso li ha colti nelle diverse città dove lavorano e nelle quali sono obbligati a restare (ritrovandosi così a sperimentare il fondamento di quella vecchia canzone che diceva «la lontananza spegne i fuochi piccoli ma accende quelli grandi»).

Di primo acchito vien da pensare che la finalità di Covid-19 sia quella di colpire, direttamente o indirettamente, i nostri strumenti di percezione del mondo e le relazioni che abbiamo con esso e con le altre persone. Per ora ad essere al riparo sembrano essere solo i due sensi non ancora citati: la vista e l'udito le cui funzioni, per fortuna, siamo in grado addirittura di amplificare superando almeno alcune delle barriere che ci ritroviamo a subire.

Infatti, grazie all'informatica e alla telematica, che consentono di trasferire suoni (come la voce) e immagini, stiamo fronteggiando molti dei problemi che abbiamo. Penso al cosiddetto "smart working" per mezzo del quale molte persone possono lavorare da casa; oppure alla didattica a distanza che permette a docenti e studenti di non interrompere il percorso formativo.
Ma non è un caso che molto di discuta su questa modalità di insegnamento/apprendimento: l'elemento posto in esponente dai più critici è proprio la mancanza di (con)tatto in presenza che solo garantirebbe la relazione, ovvero il fattore principale del processo di apprendimento.

Abbiamo citato i computer. Il loro mondo, in questo momento, rappresenta una metafora di quello che stiamo vivendo: così come loro si "vedono" (digitalmente parlando) e dialogano grazie ai protocolli di comunicazione, anche noi, in questo frangente, ci vediamo e ci sentiamo (usando quelle macchine) come se fossimo noi stessi terminali di una immensa rete wi-fi.
Portando alle estreme conseguenze questa metafora, non possiamo fare a meno di ricordare che il tentativo di creare macchine intelligenti passa proprio dal fornire ai computer tradizionali gli ingredienti che possano renderli sempre più simili a noi: ovvero visori, linguaggio naturale, sensori tattili e arti idonei al movimento. È la relazione completa con il mondo, infatti, a costituire la premessa indispensabile del ragionamento e della assunzione delle decisioni migliori, ovvero di quello che noi etichettiamo come intelligenza (artificiale e no).

Consideriamo le macchine tanto più intelligenti quanto più sono simili a noi. E per renderle sempre più simili a noi le dotiamo degli strumenti che consentono di percepire il mondo che ci circonda e di relazionarsi con esso.
Covid-19 ci ha tolto una parte di questi strumenti di percezione e relazione. Così facendo, egli ha provocato un effetto ben preciso: rendere acuto il nostro bisogno di essere interi. Imperfetti fin che si vuole, ma interi nella nostra capacità di rapportarci con pienezza al nostro ambiente.

Quando tutto questo sarà finito probabilmente ricorderemo quanto importante sia quel bisogno. Ci servirà a comprendere meglio molte cose. Ad esempio alcune dinamiche che abitano i tanti territori della disabilità. Ma anche e forse soprattutto la punizione che si infliggono le tante persone che, per le più svariate ragioni, scelgono di vivere con il freno a mano tirato rinunciando a quello per cui forse siamo stati progettati: sperimentare il mondo. Rispettandolo.

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