Diventiamo cittadini del mondo

Diventiamo cittadini del mondo

di Lucia Fronza Crepaz

Con Paolo, mio marito, siamo in partenza per la Siria, per costruire un po’ di strada comune. Ritorniamo per ri-sperimentare cosa voglia dire fratellanza con quel popolo, gente che non si lascia vincere dalle difficoltà. Abbiamo imparato ad amare questo paese, con cui i debiti dell’occidente sono immensi e abbiamo ricevuto cento volte più di quanto abbiamo condiviso.

Il cambiamento d’epoca in corso, di cui anche la crisi nazionale attuale è figlia, chiede a tutti noi, qualunque sia il nostro ruolo sociale, una assunzione di responsabilità.

Se dovessi riassumerla direi: diventare cittadini del mondo e da lì guardare il nostro angolo nazionale.
Copio da Wikipedia: «si autodefinisce cittadino del mondo colui che crede che gli abitanti della Terra formino un unico popolo, con diritti e doveri comuni, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza, e che pongono l’interesse di questa comunità mondiale al di sopra degli interessi nazionali».

Perché “cittadini del mondo”? Cosa vuol dire?
Prima condizione essere cittadini.

Mi è sempre piaciuta questa parola perché nella sua indeterminatezza, senza qualificazioni se non di appartenenza ad un territorio, lascia intendere che il coinvolgimento riguarda tutte e tutti: di qualsiasi età, condizione, carica o incarico. Ognuno possiede la stessa responsabilità, perché il buon funzionamento di una città ha bisogno della partecipazione di ciascuno. Guardare a noi stessi come cittadino, soggetto che strutturalmente è fatto per relazionarsi con la propria comunità, può diventare fondamento per ricomprendere la propria storia, quella della propria famiglia e di scoprire una potenzialità, un filo che lega i nostri talenti con i nostri grandi sogni che, magari troppo presto abbiamo messo nel cassetto. Dall’amore interpersonale all’amore sociale: di fronte alle difficoltà possiamo, in qualche modo, “cavarcela” da soli o possiamo entrare in modalità comunitaria e, guardando in faccia la fatica, diventare attore sociale di cambiamento. Il cambiamento può partire da chiunque, chiunque può diventare motore di cambiamento, portare novità, basta prendere coscienza della propria capacità di essere soggetto.

E c’è un’altra conseguenza del riconoscere che ciascuno ha dentro di sé una vocazione concreta da realizzare dentro la propria comunità, assumono un valore nuovo anche le opzioni e le scelte dell’altro, qualunque sia il suo punto di vista. Anche lei, lui, è un potenziale da conoscere, con cui poter concretizzare fatti.

Ho letto un bellissimo libro di Michela Murgia «Noi siamo tempesta. Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo». Pieno di storie che hanno cambiato la Storia. A fronte delle tante storie che ci hanno raccontato piene di eroi solitari (di solito rigorosamente uomini!) sono narrate altre storie costruite dal lavoro di squadra, dalla condivisione dei percorsi e ci si accorge che nella stragrande maggioranza dei casi il cambiamento è passato da un noi dall’essere diventati potenti insieme, da un’armonia corale. Un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati può cambiare il destino della propria città.

E insieme si può percorrere la propria città, “vedendola” non solo guardandola superficialmente, collegando i propri bisogni a quelli degli altri, accorgendosi della realtà dei fatti non accontentandosi di frettolose interpretazioni. Certo occorre dedicare tempo, ma è come quando in una giornata se per caso si alza lo sguardo e ci si accorge che anche oggi splende il sole, i fatti prendono il sopravvento sulle impressioni e ci si può fidare di nuovo a sperare.

Ma con il mondo come la mettiamo? Il vocabolario Treccani come sinonimi di “cittadini del mondo” scrive: “apolidi, cosmopoliti”.

Apolide è uno sradicato, senza patria collocato in una sorta di sospensione dei diritti. Lo sapevano bene i nostri fratelli dell’Alto Adige Südtirol che lo hanno sperimentato dopo la fine del secondo conflitto. Avendo perso la cittadinanza italiana per aver optato per il Reich, non sono stati riconosciuti per anni né dall’Austria, né dall’Italia.

Il cosmopolita è il frutto di un multiculturalismo, un accostamento di usi e costumi che si tollerano a vicenda, più funzionale ad una convenienza di mercato che ad una scelta culturale. I cittadini del mondo di cui oggi c’è bisogno non sono quindi questi. Per comporre l’unità della famiglia umana, meta non più eludibile, c’è bisogno di gente che conosca la propria identità, che coltivi le proprie radici, non di masse appiattite, senza cultura propria, facile preda del potere di pochi.

Tra il resto una identità debole ha paura del dialogo, spesso ha bisogno del razzismo per rafforzare il sé. “Chi sono io, chi siamo noi” è la domanda che non possiamo eludere, se vogliamo resistere alla falsa soluzione “è colpa del nemico” di turno, se vogliamo essere davvero cittadini del mondo.

Il dialogo se è vero non porta all’uniformità delle idee, ma alla concordia, che è il profondo rispetto per l’idea dell’altro, per cui nonostante le diversità possiamo essere uniti. Ci attende un lungo, paziente lavoro di ricostruzione di pensiero, di sentimenti e di azioni per non accontentarci di rattoppare dove si spacca il tessuto, per non stare in qualche modo assieme come un branco, ma per costruire una casa comune degna di una società umana.

Ci sono Beni Comuni, materiali (territorio...) e immateriali (conoscenza...), che appartengono a tutta la famiglia umana, perché tutti ne devono trarre beneficio.
Generosità contro chiusura, gentilezza contro strafottenza, pazienza costruttiva contro distruttività! Queste le qualità di cui oggi c’è bisogno!

Mafalda, bambina sempre attenta a non perdere la “strada” della novità anche se controcorrente, sostiene: «Muoviamoci ragazzi! Risulta che se uno non si precipita a cambiare il mondo, allora è il mondo che lo cambia».

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