Scuola, le bocciature non sono tutto

Scuola, le bocciature non sono tutto

di Maria Prodi

Gentile direttore, non solo non mi permetterei di dirle cosa dovrebbe pubblicare o no, ma la ringrazio per l’attenzione che dedica alla scuola e che è ragionevole perché ogni istituzione scolastica è un bene comune, un tesoro collettivo in cui la comunità può riconoscersi.

E sulle cui finalità ed efficacia fa bene a interrogarsi. 1) Insegno al Prati e vorrei chiarire che “aver fatto il Prati” può significare molte cose diverse: ci sono diverse sezioni, diversi insegnanti, diversi anni scolastici. Alla fine del biennio ginnasiale ci sono sezioni che hanno un fisiologico calo di un 5 per cento, e sezioni più che dimezzate. Siccome è cura di chi forma le classi costituirle equilibrate questo significa che l’impatto dei differenti professori è drammaticamente percepibile. Ipotizzare che la colpa del mancato risultato sia sempre dello studente immeritevole, a fronte di un docente sempre meritevole, pare essere un’ipotesi non del tutto dimostrata…

2) Non è la scuola a scegliere i suoi insegnanti. La disponibilità di posti e le richieste di trasferimento stanno dietro alla allocazione dei docenti. Quindi la fisionomia di ogni scuola è estremamente varia. Data la struttura ordinamentale, e dato quel nucleo programmatico che si esplicita nella progettazione di istituto, e che riceve dal dirigente una impronta organizzativa e di indirizzo che può essere caratterizzante, la preparazione e la personalità del singolo docente è dirimente, nel bene e nel male.

3) Sulla scena pubblica si possono esibire principi e teorie pedagogiche persuasive e nobili: resta da capire come nelle prassi si svolga l’insegnamento, dietro quella porta chiusa, nella black box della classe. Ci sono ottimi insegnanti in tutti i tipi di scuole, e purtroppo anche insegnanti inadeguati, a prescindere dalle affermazioni di principio. Molte ricerche dimostrano che la risorsa docente è una fattore fortissimo del successo formativo.

4) Non è il numero delle bocciature o la severità formale che rendono riconoscibile un buon docente. Ci sono insegnanti poco temibili i cui ragazzi però vincono competizioni nazionali, insegnanti miti che hanno il dono di far innamorare i ragazzi delle loro discipline, insegnanti dialoganti che insegnano a pensare, e non a ripetere. Ci sono però anche insegnanti selettivi che non sono mai stati selezionati, insegnanti esigenti il merito non particolarmente meritevoli. Ovviamente non vale neanche la correlazione inversa: ci sono insegnanti severi ed efficaci, come ci sono docenti amichevoli ma impreparati e inconcludenti. Come valutare i docenti, differenziarne le carriere ed eventualmente premiarli è stata croce e delizia per parecchi ministri ma in Italia non se ne è venuti ancora a capo.

5) Troppo lunga e complessa sarebbe la questione di quali componenti e con che peso rendono una scuola “buona”. Molte ricerche confermano che in gran parte è buona una scuola cui si iscrivono buoni studenti. Ma questo non ci esime dal rimboccarci le maniche e cercare di migliorare i risultati, facendo emergere quel “valore aggiunto” che esprime la migliore realizzazione delle potenzialità. Senza dimenticare che alla scuola sono affidati tutti gli studenti, non solo quelli già bravi. E che le scuole veramente più capaci sono quelle che rovesciano la predittività socio-economica sui destini dei ragazzi, sono quelle che realizzano l’articolo 3 della Costituzione (È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.).

6) La consulta dei genitori del liceo Prati ha chiesto alla scuola di affrontare con strumenti rigorosi nella propria attività di autovalutazione il problema espresso dai numeri di bocciature e abbandoni nel biennio e ha chiesto quali azioni di miglioramento sia possibile mettere in atto. Non ha chiesto di far studiare meno i ragazzi. Una scuola in cui si possa lavorare sereni è spesso una scuola più efficace, non necessariamente meno produttiva. Ogni scuola lavora con strumenti di autoanalisi e di rendicontazione che esplicitino le componenti e le cause dei successi formativi e delle difficoltà, dei risultati di apprendimento. È un lavoro da fare.

7) Il tema non è se servano più o meno bocciature: non basta discutere se la scuola debba essere più lassista o più esigente. Il problema è quali conoscenze, quali abilità, quali competenze la scuola deve potenziare? Su quali sfide impegniamo i ragazzi e per quali scopi? Se chiedo a futuri dentisti di fare 300 flessioni di seguito probabilmente otterrò una fortissima selezione del gruppo, ma non è detto che restino i migliori come dentisti. A futuri avvocati, ingegneri, agronomi, medici, commercianti, imprenditori, giornalisti ecc…ha senso chiedere di crescere capaci di reggere all’urto della fatica, abituati a lavorare sodo, ma anche di essere flessibili, critici, autonomi, intraprendenti, dotati di intelligenza emotiva, di capacità di relazionarsi, di elaborazione personale. Dotati di curiosità intellettuali e di amore per le cose belle. E soprattutto cittadini partecipi e consapevoli.

8) In Trentino, in caso di poche insufficienze, si segnalano le carenze, e si chiede allo studente di recuperare. Nel resto d’Italia si rimanda a settembre. Ma non ci sono grandi differenze sulla percentuale di bocciature finali, almeno con le regioni a noi più vicine. Perché nelle altre regioni poi nel concreto a settembre si tende a non bocciare per una o due materie, e quindi per evitarlo si alza il voto anche in assenza di risultati soddisfacenti. Ci sono vantaggi e svantaggi in entrambi i sistemi. Il sistema trentino sembra più lasco, ma quello italiano porta a edulcorazioni dei voti abbastanza diseducative. Ci si può ragionare, dati alla mano. Personalmente ritengo ottimo il sistema di distribuire i ragazzi in corsi più o meno avanzati a seconda della progressione nelle diverse discipline, come si fa in Germania. Lasciando più spazio a opzioni e diversificazioni di percorsi utili anche a fini orientativi. In Italia siamo forse troppo legati alla dimensione del gruppo classe per questa soluzione. Ma se ne può discutere.

9) In Trentino l’autonomia permette di realizzare quello di cui altrove si può solo discutere. E di realizzarlo con solide strutture organizzative e con una qualità mediamente più alta rispetto al resto d’Italia del personale della scuola, frutto di decenni di politiche lungimiranti. Non credo che il futuro del sistema scolastico trentino vada trovato nel copiare altrove soluzioni un po’ vetuste. Ma nel recuperare la capacità di innovarsi e di proporsi come un laboratorio di modi più avanzati di fare scuola da proporre come modello al resto del paese.

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