Troppi tagli: l'Italia è senza medici

Troppi tagli: l'Italia è senza medici

di Paolo Micheletto

C’è una vera emergenza in Italia, che i governi (l’attuale come i precedenti) si rifiutano di affrontare. La sanità è in crisi. Una crisi destinata a peggiorare. Perché mancano i medici, a causa di una programmazione sbagliata. Quelli che ci sono, in media sono formati ai massimi livelli e aggiornati. Grazie a loro possiamo parlare di una sanità di eccellenza.

Ma i medici sono pochi, perché lo Stato ha deciso di tagliare.
Tagliare prima di tutto sul numero delle specializzazioni, vale a dire delle “borse” che permettono ai medici laureati di avere contratti di formazione dopo la laurea e prima di accedere ai concorsi veri e propri nel sistema sanitario nazionale. Accade così: ragazzi preparati e motivati arrivano alla laurea con ottimi voti e poi si fermano, perché non c’è posto per loro. Quando è il momento di specializzarsi e iniziare a “restituire” quello che hanno imparato, lo Stato li ferma. Li mette in attesa, mentre la sanità ha un assoluto bisogno di loro.

La vera emergenza, quindi, non riguarda solo la bassa quota di assunzioni e il numero chiuso alle università, che andrebbe comunque rivisto verso l’alto (ma confermato), perché la quota di laureati non è comunque sufficiente. Ma i problemi arrivano soprattutto dalla formazione specialistica. Da anni il numero dei laureati è superiore alle borse assegnate, e così si è creato un vero e proprio “imbuto” formativo, che ha già lasciato nel limbo diecimila giovani medici. L’associazione medici dirigenti (Anaao Assomed) lo denuncia da quasi dieci anni, praticamente senza risultati.

Fino al 2025 mediamente arriveranno alla laurea 10mila medici ogni anno, ma il numero dei contratti di formazione è già sceso a quota settemila: senza interventi correttivi questo significa che nei prossimi cinque anni si arriverà a circa ventimila medici laureati tra “color che son sospesi” - come si legge in documento della stessa Anaoo - destinati a ritentare l’ammissione alle scuole di specialità l’anno successivo o a lasciare il nostro Paese, regalando ad altre nazioni l’investimento per la loro formazione.

Funziona così: l’Italia si prende cura di una parte della migliore gioventù, la prepara e poi la mette in un parcheggio, oppure se la lascia sfuggire verso altri paesi. Insomma, siamo davanti a una situazione grave. Che condizionerà il nostro futuro. I numeri sono impietosi. È stato calcolato che nel 2025 potrebbero mancare 16.500 medici specialisti, con un quadro particolarmente grave per alcune branche specialistiche: per Pediatria, ad esempio, 6.127 medici andranno in pensione, mentre i nuovi specializzati saranno solo 2.805.
In questi giorni l’Adige ha analizzato i problemi dei reparti di Pronto soccorso, dove i professionisti affrontano le loro giornate di lavoro con un impegno eroico: ma la carenza di personale è gravissima, e non a caso un recente concorso è andato a vuoto, come è accaduto in altre città. Del resto fino al 2025 in tutta Italia sono previsti 1.471 nuovi specializzati nella Medicina d’urgenza, davvero poca cosa rispetto agli oltre cinquemila pensionati. E non è tutto: nella top delle carenze entro il 2025, oltre ai due settori già citati, ci saranno anche Medicina interna, Anestesia, Rianimazione e Terapia intensiva, Chirurgia, Psichiatria, Malattie dell’apparato cardiovascolare, Ginecologia e Ostetricia, Radiodiagnostica, Ortopedia e Traumatologia.

E ancora: nei prossimi dieci anni andranno in pensione 80mila medici, tra quelli di medicina di base e quelli ospedalieri. È sicuro che i primi verranno sostituiti in maniera insufficiente (almeno ventimila medici in meno), mentre per i medici del Sistema sanitario nazionale è difficile fare un calcolo preciso, perché non si sa quando saranno banditi i concorsi da parte delle regioni. E la scarsa attenzione a questi temi da parte dei governi e delle amministrazioni locali sembra ancora più incredibile se si pensa al progressivo invecchiamento della popolazione.

E i tagli alla sanità non riguardano peraltro sono i medici, ma anche gli infermieri e il personale di supporto in generale. E anche in questo caso si tratta di un errore strategico di cui tutti pagheremo le conseguenze, se è vero che le malattie più diffuse sono di tipo cronico e richiederanno sempre più assistenza infermieristica.

Le responsabilità della politica sono gravissime e piuttosto diffuse: l’attuale ministro Giulia Grillo, medico, non è andata oltre alcuni incontri con i colleghi e qualche annuncio, comunque meglio dei governi di centrosinistra della legislatura precedente. Se il disastro è stato compiuto dai governi targati Pd, nell’ultima finanziaria l’attuale esecutivo ha stanziato 40 milioni di euro per quest’anno e 90 per l’anno prossimo per aumentare il numero dei posti.

Oggi però è necessario intervenire con più forza, allargando la spesa per la formazione post universitaria. Solo così si copriranno i posti per il funzionamento del sistema sanitario e il sistema Paese darà l’impressione di credere nel futuro dei propri ragazzi migliori.
In Trentino, alla luce di questi numeri, non ha molto senso prevedere nuovi reparti di maternità sul territorio o indire concorsi che poi non potranno vedere la partecipazione di un numero sufficiente di medici. Una possibile, parziale, soluzione è che le regioni (e la Provincia di Trento nel nostro caso) paghino direttamente alle università alcune borse, che diventano quindi non statali ma provinciali e regionali. La Provincia è direttamente responsabile della situazione sanitaria, per cui visto che di regola i concorsi vanno deserti, può chiedere di pagare direttamente la formazione, con la clausola che i medici restino poi sul territorio.

In Germania esistono gli ospedali di formazione: un giovane viene assunto dopo un colloquio con il Primario in un ospedale non universitario, rimane per la durata della specializzazione, viene pagato come specializzando e alla fine del percorso il Primario certifica che lui è specialista in quella materia. Per Trento potrebbe essere una soluzione: in questo modo aumenterebbe il personale con specializzandi e soprattutto si garantirebbe medici per il futuro.
L’ultimo aspetto grottesco è quello dei pensionati. Il Veneto, ad esempio, acconsente ad assumerli: si nega una borsa a un giovane di talento (del valore di circa 1.500 euro al mese) e si assume un pensionato di 70 anni che guadagna già di suo oltre 4.000 euro di pensione. È proprio un mondo alla rovescia.

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