Mattarei trasformista peggiore di Schelfi

Mattarei trasformista peggiore di Schelfi

di Giuliano Beltrami

Autorevolezza, terzietà, discontinuità, fragilità. Si può esserA autorevoli giocando a fare i soggetti terzi? Si può esercitare la discontinuità se si è fragili?

Ecco. Queste domande mi affiorano alle labbra, ma soprattutto mi scuotono il cuore mentre leggo l’intervista a Marina Mattarei, presidente della Federazione, presidente della discontinuità.

Leggo e mi addoloro perché mi sento tradito. Attenzione, non perché la presidente preferisce un appeal istituzionale all’incontro con le Cooperative (oddio, ci potrebbe stare anche questo da cooperatore di base), ma perché si può avere un rapporto pacato e dialogico con le istituzioni, ma rivendicando il proprio ruolo e la propria identità.
La battuta che mi è venuta con qualche amico è la seguente: questa intervista è di tipico stampo democristiano, ossia del dire e non dire, del non sbilanciarsi.

È innovativo rispetto al passato dichiarare un «lavoro sotto traccia»? Non era Schelfi il consociativo, il collaterale? Nossignori. Il «sottotraccia» non è mai stato un metodo, né in politica, né nello svolgimento di una funzione di rappresentanza. A meno che non esista un mandato «alla cieca», cosa che non so e che eventualmente preferirei sapere.

Tema accoglienza: possiamo dire (per me dobbiamo) che il Cinformi ha rappresentato un modello che ci invidiano per la capacità (con tutte le difficoltà del caso) di accogliere e di inserire? Se ci crediamo diciamolo senza paura. Possiamo dire forte e chiaro che il lavoro svolto dalle Cooperative sociali e dagli altri soggetti impegnati nell’accoglienza è stato fatto con serietà, senza speculazioni, da persone preparate? Diciamolo, senza che la paura ci stringa le corde della gola impedendoci di parlare. Non è sufficiente, anzi, è una forma di scaricabarile (me lo si lasci dire) affermare che «il tema dell’accoglienza è complesso» e che non ci vogliono «approcci ideologici».
Belle frasi, se non fosse che il tema è affrontato proprio in modo ideologico da più esponenti del «potere».

E l’impatto sull’occupazione che deriva dalla levata di scudi provinciale contro l’accoglienza? Non può la presidente cavarsela dicendo di non voler essere trascinata in dinamiche politiche verso la Giunta provinciale, anche perché le Cooperative e i cooperatori si aspettano una posizione da presidente del movimento.

Venendo all’interno della Federazione. Scopro che nei prossimi giorni il Consiglio di Amministrazione discuterà (spero) ed approverà un documento strategico/ programmatico da sottoporre alla Giunta provinciale. Chiedo scusa per l’ardire, ma cara presidente, dov’è il coinvolgimento delle Cooperative? Non chiedo Assemblee di territorio, che spesso si trasformano in riti stanchi, ma perlomeno il rispetto per lo statuto che con fatica abbiamo portato a termine, secondo il quale i Comitati di settore dovrebbero servire da organismi che nutrono (la dico come l’ho sempre detta) il Consiglio di Amministrazione. In mezzo al «dolore» mi veniva un sorriso, perché comunque sorridere fa bene. I critici hanno detto spesso che per decenni la Federazione, anzi, la cooperazione in generale, è stata la cinghia di trasmissione del potere politico.

Negli ultimi anni abbiamo lavorato in parecchi e parecchio per cancellare questo luogo comune. Ebbene? Oggi mi ritrovo sul giornale l’affermazione della presidente secondo cui il Consiglio di Amministrazione approverà un documento strategico (dico strategico, non bruscolini) per portarlo al presidente della Provincia Maurizio Fugatti. E mi chiedo: e noi? Intendo, noi cooperatori? Possibile che gli Dèi del cambiamento non riescano ad immaginare l’esistenza di un pensiero diffuso dei cooperatori?

Per riprendere il tema iniziale, non si può essere soggetti terzi e nel contempo illudersi di essere autorevoli. Autorevolezza è esprimere con chiarezza, sia pure con assoluta pacatezza, le proprie opinioni; è difendere i propri soci. E poi discontinuità rispetto al passato è coinvolgere i soci nel dibattito, anzi, nel pensiero sulle strategie. Chiudersi nel bunker, progettare con i propri amici, discutere solo col potere è un segno di fragilità.

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