I valori e l'Europa che Antonio ci lascia

I valori e l'Europa che Antonio ci lascia

di Pierangelo Giovanetti

L' uccisione assurda e spietata nella strage di Strasburgo di Antonio Megalizzi, il nostro studente e giornalista trentino, lascia tutti noi nel dolore più straziante, soprattutto la sua famiglia e gli affetti più cari. Ma la mano assassina del killer fanatico e colmo di odio che ci ha privato della vita di Antonio, non ha potuto nulla contro le sue idee, i suoi sogni e i suoi valori, che rimangono intatti e fortissimi, l'eredità più grande e l'impegno più tenace che lui ci continua a trasmettere.
Insieme al ricordo e all'amore dei familiari e degli amici, di lui restano vivi e immutati la sua testimonianza e il suo credo, esempio e sprone per tutti noi. 

Eroe del nostro tempo e della nostra terra, a lui Trento dovrà tributare un riconoscimento grato e imperituro, l'intitolazione di un luogo, di uno spazio di studi, di un centro del pensiero europeo. E forse, un domani, anche una via. Perché Antonio è, e dovrà essere, sempre con noi. 

Stessa età di chi l'ha ucciso, stessa storia familiare di migrazione, stessa tragica fine, la loro visione di vita e di futuro era opposta. L'idea di Europa, di libertà, di politica che sa costruire e non distruggere, di pacifica convivenza fra diversi a cui Antonio ha creduto convintamente nella sua breve esistenza, è l'unica visione che può dare un avvenire a noi e ai nostri figli.
È un programma che va portato avanti con determinazione, senza arresti e cedimenti, fermando con la bellezza di quei convincimenti e la freschezza giovane e piena di speranza di quelle sue riflessioni quanti oggi vogliono erigere di nuovo confini fra i Paesi d'Europa, quanti vogliono abbattere e non migliorare ciò che finora è stato costruito, quanti seminano odio fra i popoli e non unità nella diversità, quanti rinfocolano proclami di nazionalismo di così angosciosa memoria.

Lui stesso lo ripeteva alla radio, all'università, nei suoi incontri pubblici. In chi attacca oggi l'Europa nel nome del sovranismo e del «prima noi degli altri» c'è lo stesso odore di morte e di desolazione che cento anni fa ha portato alla mattanza fra i popoli e alla messa all'angolo del continente, il quale ha potuto riprendersi e creare benessere, welfare, democrazia e pace dopo essere passato da un'ulteriore drammatica macelleria scatenata dai veleni nazionalisti solo mettendosi insieme e dando vita all'Unione europea. 

Chérif Chekatt, il giovane che ha guardato negli occhi Antonio puntandogli la pistola alla testa, era mosso dallo stesso rancore verso la società aperta, la libertà di coscienza, il confronto democratico fra idee, l'integrazione del diverso da noi, di quanti oggi nei loro discorsi politici aizzano alla caccia allo straniero, creano ghetti e diffondono parole d'ordine «contro», e non per costruire insieme, per migliorare insieme, per accogliere insieme, per rendere questa nostra comune terra europea migliore insieme, e non gli uni contro gli altri, italiani contro tedeschi o francesi, e viceversa. 

Antonio credeva invece nella bandiera europea. Si batteva contro quanti ne dileggiavano quotidianamente i progetti e gli ideali, banalizzandoli come frutto di stupidi cavilli di «eurocrati» senza popolo. Contava nel lavoro del parlamento europeo, nel darsi delle regole comuni a cui non ci si sottrae se fa comodo, sia che si tratti di accoglienza e redistribuzione di migranti, sia che si tratti di rispettare la moneta unica o mettere a posto i propri conti.
Lottava, come tutta la sua generazione Erasmus - la stessa di Valeria Solesin e di Fabrizia Di Lorenzo, vittime anche loro della medesima follia ideologica e fondamentalista - per un'Europa «casa di tutti», dove non ci si uccide nel nome della religione, dove non si usa il terrore come mezzo per diffondere le proprie idee, dove non c'è continuamente il «noi contro loro», ma insieme si costruisce una società più libera, più umana, più giusta, più rispettosa di ciascuno. 

In un'epoca in cui si sputa quotidianamente in faccia alla politica e ai politici, Antonio mostrava invece profonda fiducia nell'azione politica quale efficace strumento di pacifico cambiamento della comunità e di risoluzione dei problemi. Confidava nelle istituzioni, si prodigava per diffonderne la conoscenza, specie quelle europee. Nutriva un appassionato senso dell'impegno politico come mezzo per costruire non per abbattere, per confrontarsi e dialogare fra posizioni diverse, non per randellarsi con la clava dileggiando e distruggendo l'altro via facebook o via twitter. Era per una politica dei Sì, non dei «vaffa», piaga virulenta che ha seminato astio, rancore e frustrazione nel nostro Paese e in tutto il mondo senza indicare vie d'uscita, senza far conoscere le cause dei problemi, senza cercare con umiltà e preparazione di porvi soluzione e trovare vie percorribili di miglioramento. 

Il suo desiderio di fare del giornalismo la professione della vita nasceva da una convinta fiducia nell'informazione, quale strada obbligata per comprendere le questioni, per andare alla radice dei temi. Un'informazione ancorata nella libertà, la quale va difesa, sostenuta, rispettata, non violentemente attaccata e infamata come purtroppo è di moda di questi tempi anche nel nostro Paese. 

Il suo sorriso e la sua energia restano per noi un viatico incancellabile, un incitamento a capire di più dell'Europa, a non lasciarci incantare dai triti luoghi comuni di chi insegue qualche manciata di voti, mettendo a repentaglio un progetto grande e tutt'ora pienamente attuale, quello di un continente unito nei legami comuni imprescindibili, e rispettoso delle diversità, delle minoranze, delle culture, delle lingue e delle religioni differenti. Come ci insegna la storia di Antonio e del suo assassino Chérif Chekatt, solo una comune frontiera europea e non muri fra i vari stati può difendere veramente ciascuno di noi; solo un'intelligence unica e strumenti investigativi, giudiziari, di polizia comuni possono tutelarci efficacemente. Così pure solo con una comune politica bancaria, fiscale, di protezione della moneta comune e della stabilità economica e finanziaria, siamo in grado di garantirci veramente.
Antonio Megalizzi è la parte migliore di noi, dell'Italia, dell'Europa intera. 

Non sarà morto invano se sapremo farci alfieri degli ideali e della battaglia che lo hanno animato.
Sarà questo il modo migliore perché sia sempre con noi.

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