Ora è fuggi fuggi da Pd e Upt

Ora è fuggi fuggi da Pd e Upt

di Michele Andreaus

Il quadro politico provinciale incomincia forse a delinearsi, in vista della chiusura delle liste nei prossimi giorni. Mentre nel centro destra la situazione appare chiara e delineata, nel centro sinistra permane una certa confusione, che evidenzia in modo impietosa l'implosione di un sistema che ha amministrato il Trentino negli ultimi venti anni.
La conseguenza è che il candidato presidente del centro destra sta viaggiando con il vento in poppa e le vele gonfie, con un buon vantaggio sugli inseguitori, ammesso che ne esistano. Diciamo che Fugatti basta che stia fermo e zitto, dato che il centrosinistra autonomista lo sta portando in carrozza al traguardo del 21 ottobre. Il vantaggio è talmente consistente, che può permettersi di fare lo schizzinoso sulle liste, lasciando giustamente a terra coloro che, di mestiere, sono usi a salire sul carro del vincitore di turno, prima Dellai, poi Rossi, ora pare Fugatti.

Nel centrodestra è stata delineata un'idea di programma, lasciando almeno intravvedere una prospettiva, cosa si vorrebbe fare il giorno dopo la conquista della stanza dei bottoni. Questa coalizione si identifica su alcuni punti che in parte segnano forse un passo indietro rispetto a quella che dovrebbe essere la prospettiva politica di un territorio e di una comunità. In base alle dichiarazioni ed ai primi cartelloni esposti nelle vie di Trento, l'incipit del centrodestra è infatti molto chiaro: «Prima la tua persona». È uno slogan a basso costo e facile da scrivere su un cartellone, mentre meno immediato è capirne la concreta declinazione, se non come una negazione della funzione della politica volta al bene comune, al di là della «mia persona». In realtà io non ho bisogno di un politico che si faccia carico dei miei personali interessi, ma mi piacerebbe che egli si occupasse degli interessi di una comunità. Forse chi sta cavalcando questo slogan si rifà ai principi dell'economia di Adam Smith, secondo cui la società cresce alimentata da singoli egoismi, che alla fine si bilanciano. Questi egoismi fanno progredire il mercato, ma negando il concetto stesso di bene comune ed il ruolo dello stato. Il pensiero dell'economia come scienza sociale si è però evoluto dal '700 ad oggi e non vedo come una società evoluta possa abbandonare completamente quell'attenzione al bene comune, che di fatto caratterizza buona parte della nostra vita: dai sistemi di welfare all'istruzione, dalla sanità alla mobilità e così via. Perseguendo il «prima la tua persona», si afferma che l'«io» prevale sul «noi», con buona pace degli ultimi e di coloro che si trovano in condizione svantaggiata. L'approccio ricorda un po' la famosa risposta di Cetto Laqualunque alla domanda «Cosa farà per i poveri e i bisognosi» che, tradotta in termini più eleganti, recita «assolutamente niente». 

Spostandoci verso sinistra non troviamo uno schieramento, ma l'implosione di una formula politica, che nel bene e nel male ha governato il Trentino negli ultimi venti anni. Ad oggi, in quest'area abbiamo almeno tre liste con tre candidati presidenti (Rossi, Tonini e Valer), ma nulla esclude che ne nascano ancora una o due. Nelle scorse settimane abbiamo assistito a tentativi volti a trovare una compattezza attorno a due possibili candidati, di relativa rottura con il passato. L'esperimento cercava di dare una risposta alla voglia di cambiamento degli elettori. È una voglia di cambiamento che, ahimè, non entra nel merito dell'abilità dimostrata nel governare, ma anela al cambiamento di per sé, che ci può anche stare dopo vent'anni respiriamo la medesima aria. Ghezzi o Daldoss forse rappresentavano una timido tentativo di riposta a questa istanza. La vittoria sarebbe certo stata difficile, però una fiammella comunque si sarebbe forse accesa. Al di là della loro visione politica, il cambiamento rappresentava il comun denominatore dei due possibili candidati, sufficientemente forte per arrivare ad una loro reciproca apertura. A questo punto abbiamo assistito a Ghezzi che prendeva le frecce avvelenate dagli «amici» del lato sinistro (meglio rimanere puri e perdere piuttosto che sporcarsi) e a Daldoss che prendeva sassate dai cosiddetti civici. Il movimento dei civici è sempre stato a mio avviso sopravvalutato. Non sono mai riuscito a capirne la prospettiva politica, se non come un qualcosa di indefinito e comunque orbitante attorno alla figura di Valduga. I civici hanno probabilmente cercato di nascondere la loro inconsistenza elettorale dietro a Daldoss ed ai voti che l'ex assessore tecnico avrebbe comunque avuto, pur nella certezza di perdere facendo corsa solitaria. Nel momento in cui, in modo forse goffo, Daldoss si è avvicinato a Ghezzi e a Pd e Upt per provare a vincere, il gioco dei civici è saltato. La mia impressione è che i civici gradissero l'ipotesi di perdere giocando al «tanto peggio tanto meglio», in modo da mantenere la possibilità di presentarsi come salvatori della patria nel 2023. 

Alla fine PD e UPT (in teoria), con molta fatica, hanno abbracciato Tonini, con la benedizione di Dellai. Tonini, proprio perché politico esperto e attento, sa benissimo che non potrà vincere. Non potrà, non perché non sarebbe un buon presidente, ma perché non è in grado di dare alcuna risposta a quella volontà di cambiamento che l'elettore vuole, limitandosi a proporre il medesimo menù, forse solo con la copertina diversa. Inoltre la via è bloccata dall'ostinazione incomprensibile di Rossi a non cambiare prospettiva, e certamente anche l'endorsement dellaiano rappresenta una sorta di abbraccio mortale. Tonini è un abile tessitore, ed è bravissimo a mediare, a cercare appigli per compattare e lenire le tensioni. Ma in questo contesto queste capacità temo possano essere spese solo all'interno del recinto del Pd. Il terrore di una messa in discussione di alcuni nomi da parte di Ghezzi e Daldoss ha probabilmente fatto scattare una sorta di operazione «salvate il soldato Ryan». Tra la vittoria improbabile, con la messa in discussione di qualche candidatura, e la sconfitta certa, ma con la garanzia che alcuni «Ryan» entreranno comunque in consiglio, il Pd ha scelto la seconda ipotesi. E pace per i fidi alleati dell'Upt, dove le persone con autonomia di pensiero e di analisi, sono perfettamente consapevoli che se tutto va bene riusciranno a fare un consigliere (due se va di lusso), e non certo perché sono alleati del Pd, ma per il semplice fatto che Passamani e Tonina hanno un loro personale bacino elettorale, anche se non è detto che vada ad irrobustire la candidatura di Tonini. Certo, un quadro drammatico, ma non penso sia solo frutto della mia superficiale visione. Il clima dalle parti del Pd è infatti talmente pesante che pare non bastino le scialuppe per coloro che stanno abbandonando la barca, rinunciando a candidarsi. 

A conclusione di tutto ciò, la considerazione amara che nemmeno una parola è stata spesa sui programmi, a fronte di un certosino lavoro di posizionamento di nomi e caselle. Come giustamente ha fatto più volte notare il direttore di questo giornale, non basta costruire una candidatura a presidente della provincia di Trento giocando contro. La critica deve essere sempre accompagnata da una proposta alternativa, che questa volta non prevede la solita delega fiduciaria basata sulla presunta superiorità antropologica di una coalizione che si è miseramente autoaffondata. 
Evidentemente la lezione del 4 marzo non è stata capita ed è stata nascosta dietro un semplice errore di comunicazione, ovvero scaricata sull'elettore, che «non ha capito»?

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