Doppio passaporto, pericolosa deriva

Doppio passaporto, pericolosa deriva

di Pierangelo Giovanetti

Nemmeno lo stop del Presidente Mattarella al doppio passaporto che l'Austria vuole concedere ai cittadini italiani di lingua tedesca e ladina dell'Alto Adige ha fermato, per ora, i propositi velleitari - quanto pericolosi - di Vienna. A settembre, annuncia il giovane cancelliere del governo sovranista austriaco, sarà pronta la bozza del disegno di legge. Chi dimostrerà di avere sangue tedesco al di qua del Brennero, otterrà la cittadinanza dal Bundeskanzleramt viennese. 

La sortita «nazionalista» dell'esecutivo di destra-centro, a pochi giorni dall'inizio del semestre austriaco di guida europea, riporta indietro di 70 anni le lancette della storia, riaprendo ferite sanate dall'Europa unita e dal superamento della frontiera del Brennero, e incuneandosi come una minacciosa mannaia dentro l'Autonomia regionale. Compromettendo così i collaborativi rapporti esistenti fra Italia e Austria, e la pacifica convivenza fra gruppi etnico-linguistici diversi in Alto Adige. Ma è soprattutto l'Autonomia che rischia di implodere nel momento in cui viene assegnata una cittadinanza austriaca «di massa» a due terzi degli altoatesini, ridando fiato al secessionismo e alle pretese indipendentiste. 

È l'Accordo De Gasperi-Gruber che viene affossato, e con esso il Secondo Statuto e la Quietanza liberatoria rilasciata da Vienna nel 1992, che hanno sancito che è l'autonomia lo strumento di tutela del gruppo linguistico tedesco quale minoranza in Italia. Non la secessione o l'autodeterminazione. La divisione degli altoatesini fra chi è gradito a Vienna e chi no, chi può ottenere il passaporto e chi invece non è degno, avrebbe un effetto deflagrante sull'unità della comunità dell'Alto Adige.

Porterebbe a spaccare le famiglie mistilingui, buttando alle ortiche un modello di successo di convivenza fra italiani tedeschi e ladini, riconosciuto da tutti come tale a livello internazionale.
Bene ha fatto il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi a pretendere immediati chiarimenti dalle autorità austriache, ricordando che l'assegnazione della cittadinanza a popolazioni di un altro Stato sovrano non può avvenire in maniera unilaterale e ostile. Tanto più che entrambi gli stati, e quindi le popolazioni che vi vivono, condividono la stessa cittadinanza europea. E bene hanno fatto quanti in parlamento e al governo - e tra questi il ministro trentino Riccardo Fraccaro - hanno respinto con fermezza un atto che si configura come inutile per la tutela dei diritti del gruppo tedesco sudtirolese, ma gravido di rischiose derive sovraniste e nazionaliste, che mettono a repentaglio la pace in Europa, cento anni dopo la fine dell'immane tragedia della Grande guerra, che tanti morti è costata di qua e di là dal Brennero. Senza dimenticare che assegnazioni di cittadinanza «di massa» su base etnica sono contro il diritto internazionale e costituiscono atto ostile verso i paesi confinanti.  

Dentro tutto questo fa spicco la miseria di visione politica della classe dirigente trentina, che ha mostrato indifferenza, disinteresse, distacco quando non addirittura entusiasmo per la decisione, come i vari Baratter e Kaswalder, o gli ammenicoli più o meno piumati che gli hanno fatto eco, i quali si sono subito fatti avanti per rivendicare anche per il Welschtirol il doppio passaporto, in quanto «eredi di Cecco Beppe». Scordando un particolare: Vienna non vuole italiani fra i propri cittadini «acquisiti», e non vuole nemmeno altoatesini che abbiano dna italiano e che non si dichiarino tedeschi al censimento. Patetica è, quindi, la richiesta venuta da alcune compagnie di Schützen o di circoli culturali passatisti, perché la Provincia interceda sull'Austria affinché accolga anche i «tirolesi di lingua romanza». Significa non capire i rischi che tutto ciò comporta per il Trentino, per l'Autonomia, per i pacifici e fruttuosi rapporti fra Trento e Bolzano, e fra la Regione e lo Stato nazionale. Vuol dire non conoscere nemmeno la specificità della cultura e dell'identità trentina che è sì parte da un millennio della Mitteleuropa e dell'autogoverno delle popolazioni alpine e delle comunità montane, ma non è Tirolo e neanche Sudtirolo. Ha un'anima che è frutto millenario dell'incontro fra Nord e Sud, fra mondo germanico e italico, e non può essere il semplice scimmiottamento dei «Tracht» e dei «Lederhosen» d'oltre Brennero. Tanto più che il Trentino ha fatto parte per novecento anni di un impero multinazionale e multiculturale, che riconosceva le lingue, le culture, le religioni, le nazionalità diverse di chi vi apparteneva, «i miei popoli» come li chiamava Francesco Giuseppe e a cui si rivolse nel suo tragico proclama del 1915. I trentini non hanno mai fatto parte di uno staterello di meno di nove milioni di abitanti, e non ha senso con la fine (almeno finché resta tale) delle frontiere dell'Europa unita collezionare una cittadinanza in più di un piccolo Stato vicino godendo già della medesima cittadinanza europea, che accomuna tutti - tedeschi, italiani e ladini - in Trentino Alto Adige, senza bisogno di tracciare nuovi confini e aprire vecchi steccati. 

Su questo c'è da aspettarsi una posizione più ferma e più chiara da parte della Volkspartei, anche se siamo in clima pre-elettorale e tutti temono di scontentare qualcuno. Se esiste, anche l'Euregio deve avere una posizione univoca e precisa, e lo stesso presidente Kompatscher ha il dovere di intervenire su Vienna. Sarà il banco di prova pure per la Lega di governo a livello nazionale, finora rimasta silenziosa su una questione cruciale, cavallo di battaglia però dell'alleato nazional-sovranista viennese. È Salvini ministro degli Interni che ha competenza sulla cittadinanza e sulle minoranze. Si vedrà se l'accordo di Visegrad avrà già generato i primi mostri.

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