La qualità degli insegnanti decisiva a scuola

di Pierangelo Giovanetti

Domani 70.663 studenti trentini torneranno sui banchi di scuola. È un momento importante per ciascuno di loro perché quanto apprenderanno in questi anni di formazione costituirà un tesoro spesso determinante nelle scelte della loro vita.
La scuola resta fondamentale più di quanto si creda, ma ancora di più lo è la sua qualità che, per buona parte, vuol dire la qualità degli insegnanti.
Docenti bravi, preparati, qualificati, capaci di far innamorare l'allievo alla materia che insegnano sono più importanti dei muri e di tutto il resto. L'insegnante può essere la fortuna del ragazzo, o la sua rovina. La chiave che gli apre la porta del mondo, o invece il muro che gli fa detestare il sapere e il sapore delle cose, precludendogli molte delle strade del suo futuro.
In questi anni la figura dell'insegnante ha purtroppo perso di ruolo e di riconoscimento sociale. Sicuramente hanno contribuito i cambiamenti generazionali e la perdita di autorità e credibilità dell'istituzione. Molto di tale discredito, però, è frutto del decadimento avvenuto negli ultimi decenni della qualità di tanti docenti. Non di tutti, per fortuna. E neanche della maggior parte. Ma certo si paga il prezzo dell'immissione in ruolo in taluni casi di figure non all'altezza del compito, non sufficientemente preparate, spesso ideologizzate, restie a qualunque mutamento e trincerate dentro la convinzione errata che la scuola esiste per gli insegnanti e il loro posto di lavoro, e non per gli studenti che hanno il diritto di imparare, e di imparare bene. Per fortuna la scuola - specie la scuola trentina - resta di alto livello, proprio grazie al fatto che sono ancora tanti gli insegnanti motivati e bravi conoscitori della loro materia e di un modo efficace di insegnare.

Senza un recupero forte della qualità dei docenti, della loro competenza, della loro selezione in base alle capacità e non soltanto al punteggio in graduatoria o a rivendicazioni sindacali, non si riuscirà a riscattare la figura e il ruolo del maestro o del professore ridando loro la centralità che meritano. È una cultura che va ricreata, innanzitutto a livello politico e sindacale. Non serve reclamare assunzioni e immissioni in ruolo di docenti, se non si pone pregiudizialmente la questione di come effettuarla, cioè di come scegliere per merito i migliori e i più adatti all'insegnamento. Infinite discussioni, in questi anni, hanno bloccato tentativi spesso innovativi di procedere alla selezione dei docenti. Questo anche all'interno dei vari istituti, che devono poter attirare studenti per la qualità della loro offerta formativa, per buona fama del proprio corpo docente, per l'apprezzamento delle famiglie di fronte al loro lavoro. Le famiglie, prima di iscrivere il loro figlio in un istituto si informano prioritariamente di chi vi insegna, di quali sono le sezioni migliori, di come evitare di trovarsi in classe prof lavativi o, peggio ancora, incompetenti. 

Tanta retorica sulla «preservazione dei diritti» serve solo ad evitare che nella scelta da parte dei dirigenti scolastici vengano premiati i migliori, spingendo gli altri a dover lavorare meglio e a prepararsi di più.
Oggi purtroppo un insegnante incapace, non conoscitore della propria materia, riconosciuto inetto e non in grado di svolgere il proprio compito dagli ispettori provinciali oltre che dal preside, rimane al suo posto creando danni infiniti agli studenti, come è accaduto di recente anche in Trentino con tanto di avallo del giudice del tribunale perché il posto di lavoro e il titolo di abilitazione costituiscono un diritto superiore a quello degli allievi di poter imparare la materia e di risultare preparati all'esame di stato.
È tale mentalità che ha contribuito non poco a rovinare la scuola e a delegittimare il ruolo degli insegnanti. Però se non si riconosce che al centro non c'è il posto di lavoro garantito e intoccabile dell'assunto, ma l'alunno e la sua formazione, e che questa viene prima ed è più importante dei diritti acquisiti, la scuola farà fatica a riscattarsi dal discredito che troppo spesso la circonda.
La centralità dello studente non vuol dire che lo studente ha sempre ragione, e che la famiglia deve stare dalla parte del ragazzo anche quando ha torto.
Proprio perché la sua formazione è centrale, famiglie e alunni hanno il dovere di rispettare e riconoscere la serietà dell'insegnamento, anche quando il prof è severo e richiede molto. Anche quando esige dagli studenti, misura il loro comportamento in classe, l'attenzione alle lezioni, la diligenza nei compiti di casa. Non si può pretendere qualità dell'insegnamento, e poi mettere in croce l'insegnante se giustamente richiede applicazione e dedizione da parte degli allievi.
Contrariamente a quanto pensano alcuni genitori non è un bravo insegnante quello che dà voti alti senza sollecitare impegno adeguato. Il bravo insegnante deve saper dare, ma anche esigere. E far presente alle famiglie quando questo non avviene, senza essere attaccato dalle stesse e messo in croce, solo per aver fatto il proprio dovere. Pure questo è un cambio di mentalità necessario se si vuole «riscattare» la scuola, e ridare peso all'insegnante. 

Un secondo equivoco da superare, frutto di un distorto concetto di «eguaglianza» e di decenni di malintesa retorica sessantottesca, è che la scuola non deve trasmettere sapere e far crescere competenze aiutando la persona a maturare se stessa, ma deve creare «partecipazione», «socializzazione», «dibattito». Il tutto si è tradotto in un livellamento verso il basso, in una omogeneizzazione in negativo, in interminabili pseudo-lezioni ridotte a chiacchiere inutili, invece che in un'elevazione che consenta ai «capaci e meritevoli», come dice la Costituzione italiana, «di raggiungere i gradi più alti». Più una scuola è in grado di trasmettere sapere, più dà ai ragazzi gli strumenti per affrontare al meglio la vita, e vincere le sfide che li aspettano.
Il problema non è eliminare i test all'università per dare il diritto a tutti di accedere all'ateneo, ma quello di preparare al meglio gli studenti affinché siano in grado di superare gli esami d'ingresso, e qualificarsi un domani di fronte alle offerte di lavoro e alle opportunità occupazionali. Avallare l'idea, come ormai ineffabili giudici del Tar del Lazio perseguono, che l'importante è ammettere tutti all'università, a prescindere, anche se poi non si è in grado di garantire la qualità dell'insegnamento, delle aule, dei laboratori, costituisce il danno peggiore che si possa fare allo studente e al suo futuro. Insomma conta di più un perverso concetto di egualitarismo o di preminenza del titolo di studio per tutti, rispetto alla qualità della formazione che viene trasmessa. È questa subcultura che fa danno alla scuola e che ne scredita il ruolo.
Infine, un equivoco pericoloso che continua a girare, ed è causa di conseguenze perniciose incalcolabili per i giovani alunni, è quello che si fa derivare arbitrariamente da una lettura capziosa dell'articolo 33 della Costituzione, dove si stabilisce che «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento». Ciò non vuol dire che l'insegnante fa - o può fare - quello che vuole, perché la libertà di insegnamento gli consente di farlo, come si è sentito ripetere in questi mesi da insegnanti che hanno boicottato l'alternanza scuola-lavoro o il trilinguismo. La libertà di insegnamento non prescinde dalla qualità dello stesso, dal livello di apprendimento degli allievi, dalla valutazione di come si insegna e se ciò avviene in maniera efficace. Come non prescinde dall'applicare la legge, il programma di studio, o ciò che l'istituto scolastico ha deciso di sostenere e di rendere qualificante nel proprio progetto educativo. Anche su questo c'è molto cammino da fare.
Buon inizio di anno scolastico a tutti.

comments powered by Disqus