De Gasperi e Battisti: una storia comune

De Gasperi e Battisti: una storia comune

di Maria Garbari

All’interno delle molte iniziative di agosto e settembre rivolte alla commemorazione di Alcide De Gasperi e dell’Accordo di Parigi, base della nostra autonomia, sarebbe stato opportuno inserire il ricordo congiunto di De Gasperi e Cesare Battisti, grandi personalità trentine di levatura europea.

Lo stesso Marco Battisti, nipote di Cesare, scrivendo sull’Adige del 7 luglio scorso, auspicava di vedere affiancata la memoria di questi due uomini, intransigenti avversari politici ma entrambi sostenuti dai principi di libertà, giustizia e democrazia.

A distanza di tanti anni e nell’imminenza del centenario della fine della Grande Guerra, è possibile e doveroso guardare al passato con la serenità del giudizio storico che sa collocare gli eventi e le persone nel contesto reale degli accadimenti, senza proiettare all’indietro i pregiudizi, gli schemi valutativi e le diatribe del presente.

In questo senso risulta esemplare l’articolo di Mirko Saltori apparso sull’Adige del 10 agosto dove si evidenziano le conseguenze devastanti degIi imparaticci ideologici usati al posto del rigore scientifico. Lo storico Saltori si riferisce a Battisti, ma il medesimo discorso vale per De Gasperi, caduto nel passato e anche in tempi vicini sotto gli attacchi della destra e della sinistra, degli austriacanti e dei nazionalisti italiani.

Non si tratta più di pesare col bilancino i meriti maggiori o minori dei due protagonisti nei confronti dello stato, della patria, dell’impegno sociale. Essi provenivano da formazioni culturali e da esperienze diverse ed erano portatori di differenti dottrine spirituali e politiche, si combattevano con durezza e lealtà ma potevano trovare punti costruttivi in comune.

De Gasperi e Battisti furono arrestati insieme a Innsbruck il 4 novembre 1904 perché partecipanti agli scontri per l’università italiana. Rappresentanti delle minoranze nel Consiglio comunale di Trento, furono impegnati in un dibattito polemico ma entrambi, nel 1911, votarono l’odg contro il governo di Vienna che comprometteva l’autonomia della città, protestarono per l’alta tassazione e si impegnarono nel 1912 per la riforma del sistema elettorale del comune, basato ancora sul sistema censitario.

Eletti al Parlamento dell’impero nel 1911 e alla Dieta di Innsbruck nel 1914, si batterono con vigore e costante coerenza per l’ottenimento dell’autonomia trentina separata da quella del Tirolo tedesco in nome di principi nazionali, economici e sociali saldati a dottrine diverse, ma simili nelle finalità.

Entrambi, a Vienna e ad Innsbruck, denunciarono senza mezzi termini il militarismo austriaco che portava a forme di dittatura politico-amministrativa  e comprometteva gravemente l’economia con la costruzione delle fortificazioni di confine. L’agricoltura, la pastorizia, il turismo risultavano distrutti in un paese già povero e culturalmente minacciato dal pangermanesimo.

Lo scoppio della guerra mise i due deputati di fronte al fenomeno irreversibile dell’affermazione dei diritti nazionali in tutto l’impero. Neutralismo e interventismo, per coloro che credevano nella democrazia, rappresentavano due risposte diverse ma altrettanto sofferte perché potessero convivere i valori della patria e quelli dell’internazionalismo.

In tale prospettiva nessuno di coloro che si sacrificarono per gli ideali fu un traditore. A guerra conclusa spettò ad Alcide De Gasperi, eletto deputato al Parlamento italiano, essere il relatore del disegno di legge che prevedeva l’erezione di un monumento al martire socialista e irredentista. Il rapido mutamento del clima politico e l’affermarsi del totalitarismo fascista portò alla strumentalizzazione del mito di Battisti usato anche, attraverso un falso documento, per scatenare nel 1924 una campagna di denigrazione contro De Gasperi, segretario nazionale del Partito popolare e partecipe della secessione dell’Aventino.

Ma il regime, nonostante le persecuzioni e la pesantezza del controllo poliziesco, non spense la voce degli ideali degasperiani e battistiani. Gigino Battisti, figlio di Cesare, finché fu possibile agì pubblicamente attraverso «Italia libera», e poi nella clandestinità innestando successivamente la visione del padre nelle formazioni della Resistenza.

Alla fine del secondo conflitto mondiale, le posizioni di Gigino, diventato sindaco di Trento ed eletto alla Costituente, furono sempre quelle di avversario della Dc, ma leale e pronto a difendere De Gasperi, capo del governo, dagli attacchi del volgare anticlericalismo d’una frangia della sinistra estrema.

Del resto il passato degasperiano s’identificava con il cammino della libertà contro la dittatura, dalla quale aveva subito la pesante persecuzione, e poi con la ricostruzione di un partito cristiano sostenitore dello stato laico e del metodo democratico. Sul quotidiano «Liberazione nazionale» del 14 maggio 1946 vi è una prima pagina che rende anche visivamente la competizione politica tra forze diverse, compiuta però in senso costruttivo. Il giornale era allora diretto dal socialista Egidio Bacchi e nella redazione sedevano Malesardi del Pd’a, Carrozzini del Pci e il liberale Giuliantonio Venzo, testimone oggi vivente di quel momento storico, ossia la vigilia del referendum istituzionale e dell’elezione della Costituente.

L’articolo di fondo, su quattro colonne, era scritto da Ernesta Battisti, quello di spalla, anch’esso su quattro colonne, riassumeva il discorso elettorale tenuto a Trento da De Gasperi.

La vedova Battisti, dopo aver compiuto l’esame dei programmi dei partiti in lizza, costatandone luci e ombre, concludeva invitando a votare socialista perché il socialismo trentino, di carattere internazionale, non rinnegava, «ma anzi onorava il tricolore che s’avvolse all’ultimo grido di Cesare Battisti, martire della Patria e dell’Umanità».

Anche De Gasperi invitava a votare per il proprio partito dopo l’esame dei programmi degli avversari, non senza però avere evidenziato i punti in comune, compresa l’area comunista, nei quali sarebbe stata possibile la collaborazione. L’uno e l’altra erano comunque uniti dalla medesima fede repubblicana i cui risultati furono immediatamente evidenti; il Trentino fu la provincia italiana con la più alta percentuale di voti per la repubblica: l’ottantacinque per cento. De Gasperi e Battisti furono accomunati dall’amore per la loro terra, vista come natura legata all’uomo, protesa a difendere e, con la sua bellezza, a dare gioia alle popolazioni. Cesare Battisti scrivendo a Ernesta dal fronte il 18 giugno 1916, poco prima della morte, parlava delle rocce nelle quali era scavata la trincea, tutte fiorite di rododendri, aquilegie e miosotis, e gli sembrava strano che la natura fosse così bella e «continuasse a fiorire mentre qui vicino a me ci sono crepacci e burroni pieni di cadaveri austriaci».

Alcide De Gasperi, nel discorso tenuto in Trentino nel maggio 1946 affermava: «È da questa dura roccia nella quale sono nato che ho avuto la forza di superare le difficoltà che mi si sono opposte, ed è da essa che altre energie mi verranno per guidare questa povera Italia verso una vera pace». È auspicabile che rimanga sempre vivo l’insegnamento di questi due illustri trentini, figli della montagna ma di statura europea, capaci di collocare l’interesse per la loro terra natale nella prospettiva internazionale di un mondo fondato sulla libertà e sulla democrazia.

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