Mar, 01/10/2013 - 13:06
Se l'ingegnoso dio egizio Theuth fosse venerato ancora nella nostra epoca ipnotizzata dall'informatica, potremmo attribuirgli le esatte parole che Platone nel Fedro gli fa pronunciare a proposito della scrittura: lo sentiremmo così esaltare le sorti magnifiche e progressive del computer, che «renderà gli uomini più sapienti e più capaci di ricordare, perché con esso si è scoperto il farmaco della memoria e della sapienza». Ma potremmo immaginare che anche il re Thamus, suo interlocutore nel dialogo, risponda con le parole platoniche, parimenti trasposte dal campo della scrittura a quello dell'informatica: supremo inganno - a sentir lui - perché gli uomini, divenendo per mezzo dei computer «uditori di molte cose senza insegnamento, crederanno di essere conoscitori di molte cose mentre, come accade per lo più, non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con loro, perché saranno diventati conoscitori di opinioni invece che sapienti» (274e; 275b).