Pasqua, il papa, Tv e chiese vuote

Pasqua, il papa, Tv e chiese vuote

di Luigi Sandri

Un vibrante invito per un cessate il fuoco "globale e immediato" che ponga fine ai conflitti sanguinosi incombenti sul mondo, e un monito all'Europa perché in tempo di coronavirus faccia prevalere solidarietà, non egoismo, tra i suoi popoli. Questo il grido lanciato da Francesco.

Lo ha fatto nei suoi discorsi di Pasqua rivolti alla Chiesa romana e al mondo, durante liturgie caratterizzate dalla sostanziale solitudine del papa, con il popolo - causa pandemia - forzatamente lontano e partecipante solo attraverso la tv, così che i riti erano di fatto incentrati sul celebrante, e non sull'assemblea, orante, sì, ma invisibile.
La sera del Sabato santo il pontefice ha detto messa in una basilica vaticana praticamente vuota: infatti i "fedeli", debitamente distanziati, erano una decina di persone, tra cui un cardinale.

Nella sua omelia, pur invitando alla fiducia nel futuro - perché la risurrezione di Cristo «dà diritto alla speranza; il buio e la notte non hanno l'ultima parola» - il papa, valutando il mondo così come è, ma auspicando però che cambi, a quasi gridato: «Basta con il commercio delle armi; abbiamo bisogno di pane, non di fucili». E poi, con una analogia drammatica: «Cessino gli aborti che uccidono la vita innocente».
Vuota, poi, anche il giorno della Risurrezione di Cristo, la basilica di San Pietro, dove il pontefice ha celebrato la solenne liturgia praticamente da solo: una scena mai vista in 1700 anni! D'altronde, la necessità di evitare assembramenti latori di contagio - il virus non distingue tra un bar e una basilica! - Bergoglio e i vescovi italiani hanno deciso di chiudere le chiese alla gente perfino a Pasqua.

Terminata la messa papale solitaria è mancata la benedizione "urbi et orbi", a Roma e al mondo, dalla loggia esterna della basilica; Francesco l'ha impartita al suo interno. Inverando il senso della festa, egli ha ribadito l'invito del segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ad un disarmo generalizzato affinché, tacendo le armi, ci si dedichi tutti ad affrontare le emergenze sanitarie provocate dalla epidemia. Ha lodato quanti si dedicano con amore ad assistere i contagiati dal virus, e a proteggere i migranti. E ha invitato l'Unione Europea, per rimanere se stessa, ad affrontare questo tempo difficile con spirito solidale.

Teletrasmesse a livello nazionale o locale, le cerimonie della Settimana santa ovunque hanno messo in evidenza che, mancando il popolo, perno di tutto è il celebrante: il messaggio implicito, dunque, è il rafforzamento del ruolo del clero; e ciò apre un rilevante problema teologico e pastorale. Alcuni lodano le sacre liturgie alla tv, perché sono per molti di consolazione; altri, invece, paventano il rischio che si svuoti di senso un rito quando l'assemblea è fisicamente assente. E perciò ipotizzano che se il popolo non può esserci, anche il prete, da solo, non dovrebbe celebrare: lui e i fedeli, distanti ma spiritualmente legati, stiano a casa in preghiera, meditando il Vangelo che è Parola viva anche a digiuno di sacramenti.

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