L'ortodossia rimane divisa

L'ortodossia rimane divisa

di Luigi Sandri

Mentre in Turchia, Siria e Grecia incombe una catastrofe umanitaria - figlia di guerre e contrasti geopolitici che flagellano quelle regioni - nelle stesse terre le Chiese ortodosse, un tempo imperanti e oggi minoritarie, non riescono a trovare tra loro pace e riconciliazione.

Come ha dimostrato, la settimana scorsa, il fallimento dell’incontro di Amman, in Giordania.
Il pomo della discordia - che vede contrapposti il patriarcato di Costantinopoli, guidato da Bartolomeo, e quello di Mosca, guidato da Kirill - è la “autocefalia” (indipendenza canonica) della Chiesa ortodossa ucraina, nata nel 2018 contro la volontà dei russi, che la considerano “scismatica”. In protesta contro Bartolomeo, accusato di invadere un territorio canonico non suo, Kirill ha tagliato con lui la comunione eucaristica, cioè ha proclamato lo scisma. È una misura estrema, che la Chiesa russa - rappresentante oltre il 65% dei duecento milioni di ortodossi sparsi nel mondo - ha preso contro il patriarca “primus inter pares” tra le gerarchie ortodosse.

Che fare, per sanare la situazione? Il patriarca greco di Gerusalemme, Theophilos III, ha proposto in Giordania (territorio ecclesiasticamente da lui dipendente) un “incontro fraterno”, invitandovi tutte le quattordici Chiese autocefale. Ipotizzato nel novembre scorso, l’appuntamento si è tenuto giovedì scorso: ma ad esso non si sono fatti vedere i patriarchi di Costantinopoli, di Antiochia (Damasco), di Alessandria d’Egitto, di Bulgaria e di Georgia. Assenti poi le Chiese di Albania, Grecia e Cipro.
Presenti, invece, con Theophilos: Kirill; il patriarca di Serbia; e rappresentanti della Chiesa ortodossa polacca, romena e delle terre céke e slovacche. Ad Amman si è ancora una volta deplorata la situazione pendente, e suggerito che una “sinassi” (riunione di tutti i primati ortodossi) o un Concilio panortodosso affrontino di petto la questione di fondo: chi può concedere l’autocefalia? Per Bartolomeo spetta al suo patriarcato che, senza interpellare nessuno, nell’ultimo secolo l’ha concessa alle Chiese di Serbia, Romania e Bulgaria. Mosca, però, rifiuta questa tesi che, a suo parere, renderebbe Bartolomeo “primo senza pari”; e con lei stanno Theophilos, polacchi, céki, serbi e romeni.

Amman, dunque, è stato un grido nel deserto, incapace di superare uno stallo pericoloso: esso ha dimostrato la spaccatura dell’Ortodossia, il rifiuto di Costantinopoli di farsi processare e, per ora, l’incapacità di Mosca di tessere alleanze (essa era certa che Johannes X, patriarca di Antiochia residente a Damasco, sarebbe venuto in Giordania; ma egli ha disertato). E ora? Non si vede all’orizzonte un compromesso canonico accettabile sia per Kirill che per Bartolomeo.
Questa “impossibilità” dell’Ortodossia di superare la sua crisi devastante avviene mentre ai confini di Siria, Turchia e Grecia vicende militari stanno provocando un’ondata enorme di profughi che vorrebbero raggiungere l’Europa. Le liti delle Chiese distano anni-luce dai problemi reali della gente.

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