Gli anziani non si faranno rottamare

Gli anziani non si faranno rottamare

di Sandra Tafner

Era nato come un obbligo, poi è diventata una raccomandazione. Ma la botta è stata vissuta dagli anziani come un'ingiustizia. Non tanto perché sospetta di incostituzionalità, quanto perché contraria a quanto viene consigliato a chi non può definirsi giovane.

Vale a dire una vita sociale attiva, rapporti con parenti e amici, possibilità di tenere la mente sveglia perché sollecitata dalle relazioni o dal lavoro. Insomma, una disparità di trattamento, visto che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». Così è stato e sarà fino al 4 maggio, ma in via generale, cioè per tutti, mentre per la fase 2 in un primo tempo si era pensato all'obbligo di lockdown per i soggetti deboli, quali sembra siano considerati anche gli anziani.

E il termine lockdown non attenua l'impatto, perché ormai tutti sanno che vuol dire isolamento.
Ora, anche se il decreto del governo vuole attutire il colpo, agli anziani è rimasta una certa amarezza, della quale peraltro avevano fatto ampia scorta nel pieno della pandemia. Ricordiamo quanti sono stati i morti in ospedale, e soprattutto nelle Rsa, cioè nelle case di riposo, morti da soli, senza qualcuno che li salutasse per l'ultima volta, senza una parola di conforto, senza un gesto d'amore (tranne, ovviamente, l'assistenza professionale e umana della maggior parte del personale sanitario).
In Italia le persone sopra i 65 anni sono 13 milioni e mezzo, gli ultraottantenni negli ultimi dieci anni sono aumentati di oltre un milione. E rispetto all'inizio del secolo scorso il numero di anziani tra i 65 e i 74 anni è 8 volte maggiore e il numero degli over 85 lo è 24 volte.

Nel Comitato tecnico scientifico che affianca la task force, vale a dire la squadra del dottor Vittorio Colao che ha il compito di gestire la fase 2 che prenderà il via il prossimo lunedì, c'è tra gli altri la prof. Elisabetta Camussi, docente di psicologia sociale all'Università "Bicocca" di Milano. E da psicologa è chiaro che conosce bene l'impatto di certi trattamenti su chi non è più nel fiore dell'età.

La vecchiaia non è una malattia, lo si diceva fin dall'antichità, anche se sfortunatamente per molti vecchi la malattia è sempre dietro l'angolo. Per altri, tuttavia, non si è ancora annunciata. Sono persone arzille, in salute, attive, curiose e pronte a vivere ancora una vita piena di interessi. E da questi il lockdown prolungato non potrebbe che essere visto come una discriminazione. Così come non sembrerebbe una grande idea limitare le uscite degli under 12 e degli over 70 a una fascia oraria protetta, dalle 10,30 alle 18. Ma con l'estate alle porte non sarebbe un controsenso far uscire gli anziani nelle ore più calde della giornata?
Gli anziani tra l'altro sono spesso indispensabili per dare una mano ai figli. Non sono forse i nonni che possono risolvere certe situazioni? Come ha dichiarato al Corriere del Trentino il presidente provinciale dei Circoli anziani, non avere relazioni e contatti diventa un carcere, l'isolamento e la solitudine potrebbero fare più danni del virus.

Qualche tempo fa (44 avanti Cristo) Cicerone aveva scritto il "De senectute", un dialogo tra Catone il Censore, Gaio Lelio e Publio Cornelio Scipione Emiliano. Argomento: la vecchiaia. E Catone che aveva 83 anni (a quell'epoca certamente un'età non da considerarsi normale come lo è attualmente) cerca di spiegare i motivi per i quali non sia da considerarsi un male. Se pure comporta inevitabilmente un certo decadimento fisico, dice, la vecchiaia ha fatto maturare un'esperienza e un'autorità che permettono agli anziani di vivere una vita attiva e anche di dedicarsi all'educazione dei più giovani. E ancora (prendendo ad esempio i giureconsulti, i pontefici, gli àuguri, i filosofi): i vecchi conservano le capacità intellettuali (non tutti, purtroppo) purché preservino interessi e dinamismo.

Questo non vale solo per gli uomini famosi e insigniti di cariche, ma anche semplicemente per la vita privata di un normale cittadino. Tuttavia, conclude, "della vecchiezza questo reputo il male più grande, sentire che da vecchi si è odiosi agli altri". Conclusione pessimista, con un aggettivo rifiutato ai nostri giorni. Quel che oggi disturba piuttosto è il sospetto che all'aggettivo talvolta si preferisca un sostantivo, anche se più cortese. Rottamazione. Quella rottamazione della quale la suscettibilità degli anziani non sa spiegarsi il perché.

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