Ritorno a scuola tra gioia e tristezza

Ritorno a scuola tra gioia e tristezza

di Sandra Tafner

Riaprono le scuole. Tutti, anche i più secchioni, al rientro hanno provato sempre un misto di gioia e di tristezza, gioia per aver ritrovato i compagni di classe che l'estate aveva allontanato e tristezza per la fine delle vacanze, spensieratezza e poco studio, quello appena indispensabile, niente orari e alzatacce al mattino. Chè poi tutto diventa anche peggio man mano che l'autunno si fa inverno, quando sarebbe così bello starsene al caldo sotto le coperte. A questo proposito ci sono le ricerche sul riposo notturno a dare una mano, così come ci sono anche ricerche sull'insonnia, della quale ormai soffre un numero sempre maggiore di persone (anche se quasi mai i giovani). In quel caso vale ben poco abolire il caffè a favore della camomilla o stare attenti che la testiera del letto sia rigorosamente orientata verso nord. Un buon sonno tuttavia - assicurano i medici - sarebbe indispensabile per vivere meglio.

E se a un adulto basterebbero 7 ore e a un anziano 6, ai ragazzi dai 13 ai 18 anni ne servirebbero almeno 9. L'orario scolastico tuttavia mal si concilia con le abitudini che vedono gli studenti sempre più consumare le serate digitando, senza rendersi conto che l'orologio biologico ha precise esigenze e che contravvenire a quei ritmi può incidere sulla salute e sicuramente sul rendimento scolastico. Ma è la scuola che dovrebbe tenerne conto o sono gli studenti che dovrebbero adeguarsi agli orari? I dati in questo campo dimostrano che sarebbe opportuno entrare in classe almeno mezzora più tardi, con ciò dando per scontato che sia difficile intervenire sulle abitudini dei nottambuli. Inutile rievocare altre epoche, quando bastava un'occhiata di papà per far scoccare l'ora di ritirarsi, quando perfino la Tv sollecitava "dopo Carosello tutti a nanna". Oggi non è facile intrecciare un dialogo su questo argomento con gli adolescenti, fragili prede delle mode che talvolta sfiorano addirittura la dipendenza. E proprio in tema di dipendenze (anche dal cellulare o dal Pc) qualche tempo fa il Cantiere 26 di Arco ha organizzato un incontro tra figli, genitori e il noto pedagogista Pietro Lombardo.

Le conclusioni? Servono adulti autorevoli sì, ma che sappiano far ragionare, che sappiano parlare facendo leva sulla riflessione, che sappiano spiegare le conseguenze di certi comportamenti e condurre un dialogo senza pregiudizi, senza divieti e senza minacce. In una parola, che sappiano educare, unico modo per fare prevenzione. Genitori presenti, tuttavia, non significa genitori iperprotettivi e questo porterebbe anche a parlare del percorso scuola-famiglia. Porterebbe ad eliminare l'idea che il figlio abbia sempre ragione, con le conseguenze che qualche volta si sfora addirittura nell'attacco agli insegnanti colpevoli di mettere in dubbio le capacità o la volontà del ragazzo.

Un'indagine rivela come un genitore su due ritenga che la scuola sia peggiorata negli ultimi dieci anni. Scatta così la funzione di supplenza da parte di quel genitore, per esempio con un' eccessiva assistenza nei compiti se non addirittura con la sostituzione nel farli, quasi per prevenire l'eventuale delusione di fronte ai segni rossi sul quaderno. In questo campo il nostro pare essere un record, stando a uno studio condotto in 29 Paesi che vede l'Italia prima in Europa. Il pedagogista Vertecchi consiglia invece di lasciare ai bambini maggiore autonomia, occupandosi di accompagnarli nella crescita in altri modi, magari leggendo insieme o dedicando loro più tempo per confrontarsi e ragionare, contribuendo ad aprire orizzonti nuovi e ad arricchire un linguaggio che troppo spesso si adagia su abbreviazioni e simboli. Fare sempre da scudo per evitare le difficoltà non è utile e non prepara a capire che ciascuno deve prima o poi assumersi le proprie responsabilità. Inoltre non per tutti funziona così perché le condizioni familiari non sono uguali, c'è chi non sa e chi non può aiutare e questo porta a inevitabili situazioni di disuguaglianza. Il messaggio dovrebbe essere invece che non si può vincere sempre e ad ogni costo. Il merito è una medaglia che poi, nella vita, ciascuno dovrà guadagnarsi da solo.

sandra.tafner@gmail.com

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