Non è facile trovare il «lavoro ideale»

Non è facile trovare il «lavoro ideale»

di Sandra Tafner

L’unico modo per fare un ottimo lavoro - diceva Steve Jobs, il cui nome è legato a Apple, all’iPhone, all’iPad e a molto altro in un campo oggi ben noto a tutti - è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare. C’è da dire che questo sarebbe davvero l’ideale, solo che fosse più facile trovare anche un lavoro qualunque.

Ma in periodi duri come il nostro almeno gli ideali non possono essere aboliti.

Un lavoro che risponda alle aspettative, un ambiente che contribuisca a renderlo appetibile, colleghi simpatici. Il massimo. E che dire poi di un buon rapporto fra lavoratori e datori di lavoro? Purtroppo i numeri non sono a favore, anzi, troppo spesso vengono a galla casi di sfruttamento e di pessime condizioni. E molti altri casi restano nascosti. Quasi che lo schiavismo non fosse solamente un ricordo. Ma se vogliamo vederla al positivo, parliamo di qualche imprenditore illuminato che mette i dipendenti in un contesto confortevole, servizi adeguati e quasi un’aria di famiglia. Cosa che peraltro non comporta alcun attentato all’autorevolezza.

È stato così Adriano Olivetti, un’esperienza tale da far diventare la città, che ha visto prosperare la sua azienda, Patrimonio dell’Unesco. Ivrea, «città industriale del XX secolo». Ma sempre di eccezione si tratta. Del resto troppe cose sono cambiate e la globalizzazione con le multinazionali ci ha messo del suo. E dire che si chiederebbe solo il rispetto del contratto, ma prima ancora delle persone, senza pretendere un saluto cordiale, un sorriso, i collaboratori chiamati per nome, come sta la famiglia. Rapporti umani corretti, contento l’imprenditore e contenti i dipendenti, chi dà e chi riceve. L’attuale ministro dei Beni culturali la definisce una concezione umanistica del lavoro, in cui il benessere economico e sociale dei collaboratori è considerato parte integrante del processo produttivo.

La Provincia di Trento nel mese di giugno ha pubblicato i dati sugli effetti prodotti dal «Family Audit», un protocollo che in cinque anni, dal 2014 al 2017, è stato applicato in 34 aziende italiane (che occupano 18.000 dipendenti), 9 delle quali trentine. Qui si è voluto conciliare orari di lavoro ed esigenze familiari, introducendo forme di flessibilità tali da rendere possibile un orario personalizzato, non solo il part-time già adottato da tempo. La sperimentazione ha dato ottimi risultati, come risulta dallo studio che ne ha valutato gli effetti. Tra l’altro si è notato un calo degli straordinari e delle malattie.

A proposito di malattie, un esperimento è stato introdotto nella municipalizzata dei rifiuti di Roma grazie a un accordo tra azienda e sindacati, convinti della sua utilità. In realtà qui non si tratta di adeguare il rapporto lavorativo alle esigenze della vita quotidiana, ma di premiare chi non si ammala con frequenza. Praticamente, par di capire, si tratta di premiare chi ha una salute di ferro. Oppure chi non approfitta decidendo quando ammalarsi e quando no. Ad ogni modo sono previste ricompense economiche per quelli che non marcano visita: 260 euro lordi all’anno per chi non supera la percentuale del 4,7 per cento di assenze e così a scalare fino a 80 euro per le assenze comprese tra il 9 e il 20 per cento.

Non è tuttavia una novità in quell’azienda, visto che dal 2010 per avere un premio in denaro era richiesta una presenza almeno al 50 per cento. Come dire a giorni alterni. Il metodo può apparire strano, visto che la presenza al lavoro dovrebbe essere un fatto normale.Ovviamente se uno si ammala ha il diritto di starsene a casa, ma è un diritto che non ha bisogno di incentivi né sembra logico premiare chi è di sana e robusta costituzione.

In questo modo però, assicurano all’Ama della capitale, si riduce l’assenteismo. E non è che si ridurrà pure la coscienza civica e la correttezza?

Sempre nell’ambiente di lavoro, c’è invece chi ha pensato di tener conto degli affetti. Si sa che il cane è considerato l’amico fedele dell’uomo e che l’affetto talvolta è molto forte, tanto da far temere che la solitudine prolungata possa davvero nuocere all’animale. E così il sindaco (donna) di Castel San Giovanni (Piacenza) ha fatto preparare un «Regolamento per la tutela e il benessere animale e per una migliore convivenza con la collettività umana». Il cane va in ufficio e se ne sta lì ad aspettare la fine del turno. Una sperimentazione è stata avviata a Genova e altre città si dicono interessate.

Per una valutazione è possibile affidarsi a quel che dice l’ex presidente della «Società italiana scienze del comportamento animale»: questo non si può fare sempre e comunque, dipende dall’ambiente e da quante ore si impone al cane di rimanere al chiuso. È importante saperlo, visto che non si può chiedere un parere al diretto interessato.

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