Il Brexit contro la Scienza, la Scienza contro il Brexit

Il Brexit contro la Scienza, la Scienza contro il Brexit

di Open Wet Lab

Tutti ci siamo svegliati più o meno scossi il 24 giugno quando abbiamo saputo che il 51,9% dei cittadini britannici ha votato per lasciare l’Unione Europea, una decisione che inevitabilmente influenzerà il futuro di tutti gli stati membri dell’UE e dei loro cittadini. Anche in ambiti inaspettati, come, per dirne uno, la salute pubblica.

La salute prima di tutto, in Italia come in Regno Unito. Su questa priorità ha fatto leva la campagna del «Leave», promettendo massicci finanziamenti al sistema sanitario nazionale con i soldi prima destinati alle istituzioni comunitarie. Scenario che si è prevedibilmente già rivelato totalmente irrealizzabile. Anzi, i pazienti inglesi, magari proprio quelli che hanno votato «Leave» aggrappati a questa speranza, potrebbero ritrovarsi in fondo alla fila per l’accesso a nuovi farmaci.

Infatti all’indomani del Brexit, tra i primi a preoccuparsi c’è stata la European Medicines Agency (EMA), l’Agenzia Europea per i Medicinali. Questo organo comunitario si occupa della valutazione scientifica, della supervisione e del monitoraggio della sicurezza dei medicinali prodotti dalle case farmaceutiche per la vendita nell’UE. Ha scopo di ridurre i costi e i tempi per le approvazioni di nuovi farmaci, per esempio fornendo una «corsia preferenziale» per accelerare la commercializzazione di quei farmaci per la cura di malattie ancora senza una terapia standard. Inoltre evita che lo sviluppo in campo farmaceutico sia mosso dagli interessi economici dei singoli stati - ad esempio senza la EMA l’Italia sarebbe in grado di bloccare un farmaco prodotto in Francia, nonostante questo sia più efficace oppure più economico di un medicinale nostrano.

Cosa c’entra la EMA con il Brexit? Questo organo ha attualmente sede a Londra ed è probabile che dovrà essere spostato - con più di 600 lavoratori a tempo pieno - in una città veramente europea. Oltre alle difficoltà logistiche, la EMA non potrà più contare sulla stretta e vantaggiosa collaborazione con la Medicines & Healthcare products Regulatory Agency, ovvero l’agenzia britannica per la regolamentazione dei farmaci. Bloccare questo consolidato scambio di competenze avrà delle conseguenze sulla qualità del lavoro svolto dall’EMA.

Questo è solo un esempio delle ripercussioni che il Brexit avrà sul mondo della ricerca e della scienza in Europa.
La comunità scientifica britannica è notoriamente tra le più influenti, vivaci e produttive al mondo. La qualità della ricerca e il numero di pubblicazioni non sono necessariamente connesse, ma che il 16% degli articoli scientifici ad alto impatto venga da laboratori britannici la dice lunga in termini di eccellenza. Un panorama tanto virtuoso ha davvero bisogno dell’UE?

Guardando all’ultimo programma quadro per la ricerca concluso nel 2013, il Regno Unito si è aggiudicato in assegni di ricerca circa 7 dei 40,5 miliardi di euro destinati a tutti e 28 i paesi membri.
In effetti è difficile pensare alla scienza in Europa senza l’UE. La Commissione Europea sostiene e finanzia una larga fetta della ricerca che avviene nei suoi stati membri - l’attuale programma Horizon 2020 mette a disposizione circa 74.8 miliardi di euro. Tanti soldi sono distribuiti anzitutto in base al merito, motivo principale per cui gli inglesi se ne accaparrano tanti. Inoltre sono tendenzialmente orientati alla promozione della mobilità, della sinergia, dello scambio di capacità e cervelli, insomma tutte quelle cose che fanno bene a quella che non a caso di chiama comunità scientifica. In testa su questo fronte sono il programma Erasmus+ - a cui partecipano circa 15000 tra studenti e insegnanti britannici ogni anno - e le azioni Marie Skolodowska Curie, il suo equivalente rivolto al mondo dei dottorandi e dei ricercatori -  che ogni anno portano circa 3500 ricercatori britannici a spostarsi in Europa e 8000 europei in Regno Unito. Inoltre la Comunità Europea, ed in particolare l’European Research Council, sembra essere uno dei pochi finanziatori interessati a progetti di ricerca di base a basso impatto o dalle ridotte prospettive pratiche - figuriamoci economiche - che sono molto spesso la vera culla delle grandi innovazioni.  

Il Regno Unito potrà continuare ad essere parte di tutto ciò? Non esistono precedenti, essendo il primo stato in assoluto che chiede di uscire dall’UE. Se verranno attuate le politiche di restrizione alla libera circolazione che i Brexiters auspicano, lo UK si troverà in una situazione analoga a quella della Svizzera: nel 2014, con un referendum, gli svizzeri hanno votato per limitare la libera circolazione delle persone, per spinte anti-immigrazione simili a quelle che hanno mosso il “Leave”. Se prima la Svizzera partecipava ai progetti europei e beneficiava dei suoi fondi, all’indomani del referendum i finanziamenti sono cessati e i laboratori svizzeri sono rimasti parzialmente coinvolti solo in pochi programmi. A due anni di distanza le trattative tra Svizzera ed Europa sono ancora in atto, ma la libera circolazione delle persone rimane un punto fermo imprescindibile per le istituzioni europee, tanto da far discutere al governo elvetico la possibilità di ripetere il referendum. A una chiusura delle frontiere britanniche corrisponderà la stessa “linea dura”?

Lo UK è sempre stato considerato la Terra Promessa per tutti i giovani scienziati d’Europa. Oggi chi è già là si preoccupa per le sue prospettive, chi ci voleva andare comincia a guardarsi intorno: tutto questo è molto triste.
E’ triste che una fucina di talenti e di innovazione possa ritrovarsi impoverita di persone, di diversità e di fondi. E’ triste che, se meno stati decidono cosa merita finanziamenti, alcuni ambiti rischino di essere pesantemente penalizzati: nella ricerca sulle cellule staminali embrionali, ad esempio, gli scienziati britannici sono da sempre in prima linea, con un sistema altamente controllato dalla Human Fertilisation and Embriology Authority, catalizzando gli sforzi da parte dei fondi internazionali, mentre molti altri stati UE - Italia compresa - ostacolano questo tipo di ricerca. E’ triste che le risorse potrebbero diminuire per tutti, perché, oltre ad essere beneficiario, il Regno Unito è anche tra i maggiori contribuenti ai fondi europei per la ricerca.
È davvero triste che la stragrande maggioranza della comunità scientifica si sia schierata decisamente contro il Brexit, con tanto di prove, analisi e statistiche, e che il 52% dei cittadini non le abbia dato retta.
È un vero peccato che nel 2016 ottusità e bigottismo tengano in scacco il progresso.

Emma Dann


FONTI:

 

  • https://www.statnews.com/2016/06/24/brexit-life-sciences/
  • http://www.nature.com/news/boon-or-burden-what-has-the-eu-ever-done-for-science-1.20089
  • (http://www.ema.europa.eu/ema/index.jsp?curl=pages/about_us/general/general_content_000235.jsp&mid=)
  • https://www.technologyreview.com/s/601721/why-scientists-are-so-worried-about-brexit/
  • http://www.nature.com/news/uk-scientists-in-limbo-after-brexit-shock-1.20178?WT.mc_id=FBK_NA_1606_NEWSBREXITLIMBO_PORTFOLIO
  • https://ec.europa.eu/research/fp7/index_en.cfm
  • https://erc.europa.eu/
  • http://ec.europa.eu/research/mariecurieactions/funded-projects/statistics/index_en.htm
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