L’eredità missionaria di Carlo Carretto

di Giancarlo Bregantini

«Quale avventura prodigiosa per un povero cuore d’uomo innamorarsi di Dio!». Inizia così il racconto della sua vita fratel Carlo Carretto, un uomo straordinario, il Piccolo Fratello di Gesù, che ricordiamo in questo mese di ottobre per il suo 30° anniversario della morte. Carretto, morto a Spello nell’ottobre del 1988, è l’esempio di chi ha vissuto pienamente il Concilio Vaticano II. Lo definiva, infatti, come la spinta che finalmente nella Chiesa «spalancava le pagine del Vangelo a tutti!».

L’obbedienza dopo l’esperienza della «Giac», la Gioventù Italiana di Azione Cattolica, lo condusse a vivere a Spello per ben vent’anni, dove fondò la nuova Fraternità, tra profezia e servizio. Fu qui che lui apprese l’arte dell’ascolto. Quella che bussò al suo cuore già nel deserto, in compagnia di Charles de Foucauld, in Algeria, per dieci anni. Più si lasciava andare alla profondità della contemplazione, più la scopriva come radice del suo agire. E riporta questa bellissima sintesi: «Dio non si accontenta che l’anima ami lui. Dio vuole che si ami anche l’opera sua: la creazione. (…) Poiché Dio, invisibile e intoccabile, ha iniziato la sua rivelazione attraverso il visibile e il toccabile».

Sul mio comodino, accanto alla Bibbia, tengo sempre qualche libro scritto da fratel Carlo. Le sue parole mi hanno accompagnato in un momento decisivo della mia vita di seminarista. Proprio dentro gli anni roventi della contestazione, mi aprì il cuore quando in un colloquio a Spello, durante l’estate del 1969, mi fece capire che Dio non avrebbe mai firmato il mio progetto pretenzioso. In modo secco, infatti, mi disse di strapparlo con queste parole: «Con Dio non sei in una banca. Ricorda che Dio non firma dove vuoi tu! Ma riscrivi nella preghiera il progetto che Dio vuole fare con te! E allora sì che sarà Lui a firmare dove Lui vuole, perché non sei tu il padrone della tua vita, ma è Lui il Signore del tuo cammino!».

Come ben si nota, le sue parole accompagnano a credere nella rivoluzione che ha portato Gesù, a scegliere come lui quello che nessuno avrebbe mai scelto: il servizio, ossia «l’amore che passa per la Croce che diventa la condanna di ogni potere». Pagine vibranti di un testimone che ha allontanato da sé con tutte le forze il peccato della pigrizia, perché per Carretto essa è quella forte seduzione che ci impedisce di «essere concreatori e contribuire a rendere più bello il mondo». Ecco perché non esitò mai a denunciare che «la forza di ogni vocazione è andare controcorrente, contro l’opinione pubblica, la moda e le consuetudini». La grande sfida, che è poi la vera eredità di Carlo Carretto, è sentire che l’uomo è posto in mezzo a due versanti, quello della fragilità e quello della grandezza. «Guai - diceva fratel Carlo - se l’uomo dimentica la sua piccolezza, perché rischia di farsi gigante senza esserlo, guai se dimentica Dio che lo tiene in mano con infinito amore, perché, senza Dio, l’uomo cade in uno sconfortante senso di nichilismo. L’uomo è grande solo se si apre al settimo giorno, che è il giorno di Dio, di comunione con l’Eterno, il giorno dell’abbraccio tra finito e infinito».

È salutare riprendere in mano quanto ci ha suggerito il Piccolo Fratello del Vangelo in un tempo in cui si ha l’impressione che il cuore degli uomini sia avvizzito nella frustrazione dell’egoismo, rifiutando di lasciarsi conquistare dalla gravitazione verso questa semplicità che Carretto ha definitivo come casa della coscienza, dove «la fede diventa vita, la speranza si matura, la carità si realizza (…), dove la Verità si fa strada, dove si cerca la sua volontà e si impara ad amare».
È chiaro allora che dove c’è stupore, c’è un passo indietro compiuto dal narcisismo malato, dall’orgoglio che porta invece alla cecità, alle chiusure, ad esaltare l’uomo eliminando Dio. Solo dove si fa spazio a questo «sfiorare il cielo», l’amore passa rapidamente dal cuore alle mani e si fa missione, universalità. La fede vissuta con le opere non è più un vessillo di trionfo ideologico, ma una fiaccola accesa nella notte, che attende la nuova aurora del mondo.

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