Sentirsi soli in adolescenza: la sfida dell’ascolto. Parla l’esperto
Sempre più adolescenti raccontano il dolore della solitudine, nonostante vivano immersi nei social e nelle chat. Serve una nuova maieutica educativa: meno risposte e più ascolto per aiutare i giovani a ritrovare legami autentici.
Mi capita con sempre maggiore frequenza di ascoltare giovani adolescenti che chiedono aiuto perché si sentono soli. È dolorosa la solitudine anche se può sembrare paradossale. Dal momento che viviamo il tempo della sovrabbondanza degli strumenti di comunicazione. Così mi porto appresso narrazioni incredibili di ragazzi e ragazze. Così mi porto appresso narrazioni incredibili di ragazzi e ragazze che avvertono uno stato di dolorosa solitudine e non trovano chi li aiuti. Ci sono indagini che rivelano come più del 20% degli adolescenti non ha nessuno a cui dire che sta male.
Hanno tanti amici ma non un compagno o una fidanzata, un genitore o un allenatore, un prete o un insegnante cui affidarsi e raccontare della propria solitudine. Non te l'aspetti perché pensi che le nuove generazioni siano legate fortemente da tanti rapporti di amicizia, benché virtuale e mediata dagli onnipresenti smartphone. Ti stupisci ancora di più se poi leggi di un'indagine di Save the Children in cui si dice che l'85% dei ragazzi tra 14 e 18 anni sa dell'importanza dell'amicizia reale, fatta di contatto e corpo, ma non la sperimenta.
Queste ricerche confermano che il malessere, la stanchezza o l'irritazione e lo scoraggiamento non si condividono con nessuno. Così un giovane su quattro si porta da solo un fardello pesante di sensazioni negative.
Ogni volta mi chiedo se non sia perché siamo attorniati da persone che non ascoltano e non mettono a disposizione accoglienza e accettazione. Per la maggior parte del resto viviamo isolati, distanti l'uno dall'altro. A guardala bene la realtà è quella di una società povera di "abbracci" e di baci autentici, che si accontenta dei tanti cuoricini rossi in rapida successione nei messaggi.
Come aiutarli allora? Cosa proporre alla generazione Alpha che ha infiniti strumenti comunicativi ma non sa contenere la solitudine?Proviamo a dare meno risposte pronte e a fare più domande aperte.Sviluppiamo un dialogo su ciò che accade, su ciò che avviene, sulle novità sociali e soprattutto a scuola non riempiamo le loro menti con pensieri già pronti, ma facciamo emergere le loro riflessioni e le considerazioni, anche se sbagliate.
Si chiama maieutica l'arte di tirar fuori il sapere ed era l'abilità socratica di educare e formare i giovani. Stimoliamoli a pensare chiedendo più spesso «Ma tu che ne pensi?». Facciamoli partecipare attivamente nella ricerca di strategie utili. Certo questo ci richiede di doverli ascoltare, guardarli negli occhi, osservare con attenzione il loro corpo. E poi facciamoci aiutare e chiediamo loro di fare qualcosa per gli altri.
Si cresce se si assumono responsabilità e si hanno iniziative. Spingiamoli a fare progetti e lasciamoli liberi di sbagliare. Pazientiamo ma solo alla fine chiediamogli il conto. Lasciamoli cadere perché imparino a rialzarsi, ma non facciamogli sgambetti. Smettiamola di considerarli bambini incapaci di cavarsela da soli, anche se mantengono (e devono mantenere) aspetti infantili. Attendiamo che siano loro qualche volta a prenderci per mano. Li aiuterà a sentirsi meno soli.
Giuseppe Maiolo – Psicoanalista Università di Trento -