Celiachia e sensibilità al glutine: facciamo un po’ di chiarezza

TRENTO. Sempre più persone sono, o pensano di essere, intolleranti al glutine e si espongono a diete rigide non sempre adeguate né salutari. Facciamo chiarezza su cause, sintomi e strumenti di diagnosi.

Cos’è la sensibilità al glutine non celiaca o gluten sensitivity?

È una problematica caratterizzata da sintomi gastrointestinali ed extra intestinali che si manifestano in seguito all’assunzione di glutine. Gluten sensitivity e celiachia sono due entità completamente diverse che hanno in comune solo il fatto che i sintomi dipendono dall’assunzione di alimenti contenenti glutine. Si stima che la percentuale di persone che presenta una sensibilità al glutine non celiaca sia, per quanto riguarda la popolazione italiana, intorno al 6%, quindi almeno 6 volte superiore al numero delle persone che soffrono di celiachia, e riguarderebbe sino a 3 milioni di italiani.

È spesso associata ad altre problematiche, come la fibromialgia, determinando un quadro di infiammazione intestinale e anche generale.

Quali sono i sintomi più frequenti?

Esistono sintomi gastrointestinali, come gonfiore e dolore addominale (mal di pancia), rumori intestinali, diarrea o stitichezza. E sintomi extra intestinali, come stanchezza cronica e sonnolenza post pranzo, mal di testa, difficoltà di concentrazione, annebbiamento mentale, disturbi dell’umore, dolori articolari o muscolari, problemi di pelle (tipo eczema). Fortunatamente questi sintomi regrediscono con l’eliminazione del glutine dalla dieta.

Come si fa una diagnosi di sensibilità al glutine?

Ad oggi non esistono esami specifici per fare diagnosi di gluten sensitivity. Fondamentale è escludere la presenza di celiachia o di allergia al frumento. L’esclusione della celiachia con esami mirati va fatta il prima possibile, altrimenti la dieta senza glutine potrebbe negativizzare gli esami utilizzati per fare diagnosi di celiachia. Quindi, la diagnosi si fa valutando la risposta dei sintomi ad una dieta senza glutine e la ricomparsa dopo la reintroduzione del glutine nella dieta. Esistono altri segni che possono confermare la presenza di una sensibilità al glutine. Uno studio recente ha evidenziato comunque una situazione infiammatoria a carico della mucosa intestinale.

Cosa mangiare?

Il glutine è presente non solo nel frumento (kamut e farro compresi) e nei suoi derivati, ma anche in altri cereali come segale, orzo e avena. Tutti questi vanno eliminati nel primo periodo (una decina di giorni) e poi reintrodotti gradualmente in rapporto alle risposte individuali. Non raramente, comunque, l’eliminazione del glutine deve essere proseguita per settimane o mesi. Nella maggior parte dei casi, una dieta a basso contenuto di glutine viene seguita per anni perché spesso i sintomi si ripresentano alla reintroduzione del glutine o del frumento. Escludere completamente i cereali contenenti il glutine può portare, nel tempo, a un peggioramento della flora batterica intestinale. La dieta deve quindi diventare meno stretta possibile e deve essere varia e ricca di sostanze antiossidanti che favoriscano una adeguata flora batterica (microbioma).

Consigli utili

  1. Cercare di assumere cibi meno elaborati possibile. Questi cibi contengono spesso alti contenuti di lattosio (latte in polvere), altri componenti (emulsionanti) o altri allergeni, in grado di irritare l’intestino.
  2. Attenzione alle etichette, ma i cibi con la dicitura “può contenere tracce di glutine” possono essere assunti (a differenza di quanto avviene in caso di celiachia).
  3. Cibi/integratori positivi per il benessere intestinale. Importante assumere cibi che facciano bene alla flora batterica intestinale (alcuni cibi fermentati, fibre adeguate, etc.), ricchi di principi antiossidanti (agrumi, mele, mirtilli, rape rosse, olio di oliva, ...), in quantità adeguata.

Fabio Diana

Specialista in Medicina interna e Medicina dello sport

www.fabiodiana.it

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