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Circonvallazione ferroviaria, un tracciato “velenoso”

Da mesi si chiede di cambiarlo, di renderlo meno impattante, di evitare di farlo passare nei terreni avvelenati che furono della Sloi e della Carbochimica, della Prada che, dismesse da oltre 40 anni sono ancora lì con i loro rottami

di Luigi Sardi

TRENTO. Due secoli, almeno duecento anni. Forse di più, se non ci saranno stravolgimenti a cominciare da quella guerra che infuria ad Est, quasi sulla porta di casa ed altri sviluppi oggi imprevedibili. Il tracciato della futura ferrovia che, sia ben chiaro, si dovrà fare perché allaccerà i grandi porti del Nord con il Mediterraneo, cambierà profondamente il volto della città come avvenne nel 1858 quando il corso del fiume Adige venne deviato dal rione di San Martino, dalle Torre Vede e dalla Torre Vanga con uno spostamento verso Piedicastello: nei progetti doveva scongiurare inondazioni di Trento; in vero ce ne furono due e disastrose: il 14 settembre del 1882 e il 3 novembre del 1966.

Per spostare il fiume che trasformò definitivamente l’ immagine della città, si lavorò di piccone, badile, carriole e forza di braccia. Fra gli operai, Amedeo Degasperi - il padre di Alcide - originario di Sardagna poi divenuto maresciallo della gendarmeria tirolese prima a Predazzo, poi a Pieve Tesino, quindi a Civezzano. Anche il passante ferroviario modificherà profondamente e definitivamente l’immagine di Trento, ma poiché sarebbe in ballo da 15 anni per essere di recente accolto pare con troppa fretta, sta inciampando in tribolazioni di spiccata natura politica dettate dalla scelta del tracciato.

Da mesi si chiede di cambiarlo, di renderlo meno impattante, di evitare di farlo passare nei terreni avvelenati che furono della Sloi e della Carbochimica, della Prada che, dismesse da oltre 40 anni sono ancora lì con i loro rottami. Ricordiamo che la Sloi venne chiusa da Giorgio Tononi, sindaco di Trento, il 14 luglio del 1978 dopo il famoso, terribile incendio, lasciando nel terreno quella “bomba ecologica innescata, che non possiamo consegnare ai nostri figli” come disse Lorenzo Dellai appena divenuto sindaco nel giugno del 1990.

Adesso ci sono i nipoti, che stanno ereditando tutti i veleni di Trento Nord, perché di bonifica si è sempre parlato, ma dopo oltre 40 anni e un mucchio di denaro finito in studi, convegni, proposte, progetti, tavole rotonde e anche imbandite nulla è accaduto. Perché quei terreni sono gravemente inquinati e questo è noto fin dalla fine degli anni Cinquanta.

Quanti hanno i capelli molto bianchi ricorderanno l’Adigetto scorrere a cielo aperto nei giardini di Piazza Dante dove oggi c’è il laghetto delle paperelle: l’acqua era di un verde cupo, il puzzo di gomme bruciacchiata misto a quello di cipolle, bruciacchiate anche quelle, era insopportabile e scatenava allergie. Se i terreni fossero salubri come si tenta di farci credere, il proprietario di quell’appezzamento avrebbe permesso i sondaggi nel suo prato, se non ci fosse il forte sospetto di inquinamento.

Ma, chissà se consapevole che lì potrebbe esserci il micidiale piombo tetraetile, ha negato l’autorizzazione. Adesso si dovrebbe provare a pensare a quanti, nei prossimi decenni, si troveranno a gestire il citato “passante”. Che, ficcato in galleria fra il monumento ai Caduti di Nassiria e la Villa Bortolazzi all’Acquaviva, attraverserà la “macchia nera” degli stabilimenti dismessi e le falde della Marzola, montagna fragile, ricca di sorgenti e autentica spugna visto che restituisce ogni goccia di pioggia.

Come si raccontò molti anni fa in un convegno che si tenne a Povo proprio per parlare delle risorse idriche della citata montagna. Aleggia una proposta alternativa: la destra Adige già suggerita nel trapassato remoto quando si era pensato di trasferire la stazione ferroviaria da Piazza Dante all’interno del Dos Trento. Era successo che l’Italcementi - e qui si deve citare il famoso “Dizionario Trentino” del giornalista Mauro Lando - era arrivata negli anni Venti da Bergamo a Piedicastello con le due ciminiere che estate, in inverno, Natale e Ferragosto, giorno e notte eruttavano un fumo bianco, denso che inquinava l’aria fin quasi a Rovereto quando c‘ era brezza da Nord e la Piana Rotaliana quando il vento del sud annunciava pioggia.

Si pensò di svuotare il Dos per trasformarlo in ottimo cemento; la roccia doveva fare un percorso veloce e molto breve per arrivare allo stabilimento dominato dalle ciminiere. La proposta prevedeva - eravamo alla fine degli anni Cinquanta - di allestire nel Dos Trento, con la stazione ferroviaria, parcheggi e già all’epoca si sentiva le necessità e, mi pare, una piscina e uno stadio del ghiaccio pensando ad un rifugio anti atomico visto che il 4 ottobre del 1957 c’ era stata la sorpresa dello Sputnik lanciato nello spazio dell’Unione Sovietica a scatenare la corsa allo spazio rendendo ancora più pericolosa la “guerra fredda”. L’Italcementi avrebbe pagato non solo la stazione, il parcheggio e quant’altro, ma anche il trasferimento dei binari alla destra Adige. Il progetto si arenò quasi subito per esser accantonato il 3 novembre del 1963 quando 128 famiglie di Piedicastello, per un totale di 345 persone, dovettero lasciare le loro case perché dei massi potevano cadere sulle case nella parte più antica del rione. Poi intervenne Livia Battisti, la figlia di Cesare Battisti e di Ernesta Bittanti ad esprimere il timore che il Dos Trento potesse essere ceduto ai bergamaschi per trasformarlo in cemento nell’adiacente stabilimento. Anche Bice Rizzi, l’ultima donna del Risorgimento, si oppose: il Dos, detto anche Verruca, doveva restare il simbolo di Cesare Battisti.

E così il trasferimento della ferrovia finì nel cassetto dei progetti irrealizzati. Adesso torna a galla nelle radunate di popolo contrario al tracciato scelto dalla politica. Dunque, un sì politico, ma poiché non c’è nulla di più mutevole del mutare dei responsi delle urne, cosa potrà accadere se alle prossime elezioni cambiasse l’attuale maggioranza e il suo posto andasse a quanti sono favorevoli ad un tracciato diverso? Quello attualmente prospettato impatta nei terreni avvelenati di Trento Nord, nella fragilità della Marzola e in una lunghissima galleria che resterà nei secoli futuri. C’è ancora tempo per cambiare binario?

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