La mia bici elettrica nel mirino del Governo, il PNRR e la colpa di noi ciclisti urbani

di Gigi Zoppello

Bisognerebbe sempre leggere bene tutti i documenti fino in fondo: oggi ho scoperto che negli oltre mille decreti attuativi del PNRR, c’è spazio anche per la lotta alle biciclette elettriche “truccate”. La mia, che uso tutti i giorni per andare al lavoro e mi ha fatto fare 10 mila chilometri in tre anni, non lo è. Però…

Dunque scopro leggendo fino in fondo che nel decreto di “rilancio della mobilità urbana” (un decretone che stanzia milioni e milioni per metropolitane romane e trasporti lagunari, compresa la Tav a Trento) vengono introdotte sanzioni (fino a 4mila euro) per chi "trucca" le biciclette con pedalata assistita, la cui velocità massima consentita è 25 km/h (altrimenti vengono equiparate ai ciclomotori).

La mia bicicletta, come tutte quelle vendute in Italia, ha dunque un «limitatore di velocità» inserito nel motore. Io mi ci sono abituato, ma sulla ciclabile di via Mattioli, o su quella di corso Tre Novembre, vengo superato in scioltezza da monopattini, biciclette muscolari guidate da anziane signore, persino dalle grazielle dei bambini.

Il fatto è che di recente sono stato in vacanza in Scandinavia, dove ho visto come le e-bike abbiano ormai un peso determinante in una «mobilità urbana» ecologica e salutare. Il fatto è che le biciclette elettriche vendute in tutta Europa non hanno il limitatore. In pochi anni sono passate a motori più potenti, e a batterie da 500 kilowatt. Solo in Italia – non so perché – pare che il problema della sicurezza stradale sia quello delle biciclette elettriche «truccate».

Dunque con la mia altra bici da corsa – che uso per divertimento – posso agevolmente raggiungere i 35 o 40 chilometri all’ora, spingendo un po’ sui pedali (di più, non ce la faccio, abbiate pietà di un anziano). Ma con la mia e-bike urbana no. Divento un pericolo pubblico.

Dunque mi chiedo, e chiedo all’illustre ministro Giovannini, come mai non viene messo il limitatore ai monopattini? Che fra l’altro vengono impunemente usati da due persone alla volta (vietato), sfrecciano in zone pedonali (dovrebbero andare pianissimo) e peraltro sono molto più pericolosi di una bicicletta per chi li guida e per chi se li vede arrivare addosso?

Sia chiaro: non ho nulla contro i monopattini. Ma continuo a pensare che questo accanimento contro le e-bike sia immotivato. Anzi: assurdo.

Intanto mi rassegno: se devo andare a Lavis, con il limitatore fisso a 25 all’ora, ci metto una vita. E nel frattempo, al mio fianco, passano treni di ciclisti in tutina che viaggiano ai 50. Io sono pericoloso. Loro no. 

Una rispostina in testa me la sono data: l’Italia è ormai un Paese di lamentoni. Quando sono arrivate le prime e-bike, è partita la canea degli scandalizzati. Ogni novità è accolta con un brontolìo o una invettiva. E il Trentino, credetemi, è ai primi posti della classifica. Perché lamentarsi è il nostro sport preferito. Non il ciclismo.

 

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