L'editoriale

L'Italia che riparte da chi si vaccina

di Alberto Faustini

Parla poco, l'inquilino di palazzo Chigi che molti già vedono al Quirinale (chi per sbarazzarsene e chi perché lo ritiene fra gli italiani più autorevoli di questa lunga stagione di apparente transizione).

Ma, pur conoscendo bene politica, economia e diplomazia, Mario Draghi non le manda a dire. E spiega che se l'Italia sta finalmente rialzandosi il merito è dei vaccini. Il ritorno della fiducia dipende infatti anche, se non soprattutto, dai tanti italiani che hanno deciso di stare dalla parte della scienza.

Il merito è insomma di chi ha scelto lo scudo - contro un virus che non vuole sapere di andarsene - e non uno scetticismo che allunga i tempi, che riempie di veleno un Paese già da tempo non proprio sorridente e che porta ancora in rianimazione troppe persone.

Se si può parlare di credibilità e di crescita, di Pil che torna a salire, di deficit che si riduce e di fiducia, «il merito - per usare le parole di Draghi, pronunciate con una certa fermezza - è dunque dei tanti italiani che si sono vaccinati».

Ciò malgrado, sono ancora molte le persone che scendono in piazza contro il green pass: donne e uomini che sono disposti a perdere il lavoro pur di evitare la vaccinazione. Un disagio reale, anche se a molti occhi incomprensibile. E l'eterna campagna elettorale ha fatto il resto, gettando benzina su un incendio già evidente.

Del resto, la politica - nella stagione dei Draghi e dei Mattarella, uomini fieramente al di sopra delle parti anche se legati a storie e formazioni molto definite - sta perdendo identità.

Sembra quasi che prima dell'importante voto di oggi in diverse città italiane - una chiamata alle urne il cui esito inevitabilmente peserà anche sul futuro del governo e sulla sempre più imminente corsa al Colle - la politica stenti a ritrovare la propria identità, il proprio passo, i tradizionali confini della propria azione politica.

Idee e ideologie, in Italia non meno che altrove, sono da tempo meno definite.

Salvo qualche rara eccezione, destra e sinistra sono slogan più che rivendicazioni valoriali.

Il centro resta l'isola da tutti inseguita. Un luogo cercato soprattutto da chi ritiene che gli elettori, pur ormai avvezzi al continuo cambiamento, tendano sempre a restare nei pressi di quella zona intrisa di moderazione e di timori rispetto a qualsiasi possibile salto nel buio.

E gli stessi candidati sono sempre più spesso poco politici e molto civici, quasi a sottolineare un aspetto paradossale: i partiti cercano di liberarsi di ogni simbolo, anche nelle scelte dei possibili sindaci, per tentare in realtà di ritrovare una dimensione politica più definita.

Perché è inutile negarlo: Draghi dà a tutti sicurezza e autorevolezza, ben oltre i nostri confini, ma dà contestualmente la sensazione che si possa fare a meno della politica.

Anche per questo l'altro giorno ha ricordato che «solo il Parlamento può decidere della vita e dell'efficacia di questo governo».

E solo domani sapremo come questa politica e questo parlamento - in parte abitato anche da sopravvissuti - reagiranno all'urto del voto di oggi. Il crescente nervosismo, al solito, non aiuta nessuno.

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