Storia / Il racconto

Kappler il boia delle Fosse Ardeatine davanti alla corte d’assise di Trento

Dagli atti giudiziari conservati negli archivi del palazzo di giustizia di Trento e pubblicati nel libro “Via Rasella, il Südtirol e Kappler - Fra storia e cronaca dalle Fosse Ardeatine al tesoro di Fortezza”, emergono particolari davvero raccapriccianti con le dichiarazioni di due graduati

TRENTO. L’ orologio a pendolo collocato sopra la scritta “La Legge è uguale per tutti” segnava le 9,10 del 23 novembre del 1951 quando Herbert Kappler che dopo l’8 Settembre del 1943 era stato Obersturmbabbfüher e comandante del Sicherheitsdienst nella Roma occupata dai tedeschi, entrò nell’aula della Corte d’Assise di Trento che si apriva al piano terra del palazzo di giustizia ed era separata dal carcere – all’epoca si affacciava al numero 6 di via Pilati – da una grande porta di ferro tinta di nero e attraversata da un massiccio catenaccio bastevole a dare l’idea della segregazione nell’universo carcerario.

Il passo fermo, lo sguardo altero, i polsi serrati dallo schiavettone con la catena saldamente tenuta dal maresciallo Dusmet e quattro carabinieri che lo circondavano, guardò per un’ istante la gabbia dove, anche lui circondato dagli uomini dell’Arma, si trovava l’ex tenente delle SS Joseph Feuchtinger imputato di violenza carnale e omicidio. Che vedendo Kappler, il suo superiore, si alzò di scatto, si mise sull’attenti, si chinò leggermente mentre l’ex colonnello, già condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, si irrigidiva davanti ai giudici togati e popolari della corte d’assise. Era stato convocato come testimone nel processo per lo stupro, le orrende sevizie e l’assassino della staffetta partigiana Beatrice Giaccone che abitava a Cismon del Grappa, moglie dell’appuntato dei carabinieri Domenico Giacca, catturata nella zona di Castel Tesino, tradotta a Roncengo a Villa Kofler, frustata, sadicamente violentata e ammazzata a Levico dove il suo corpo venne trovato in un dirupo.

Dagli atti giudiziari conservati negli archivi del palazzo di giustizia di Trento e pubblicati nel libro “Via Rasella, il Südtirol e Kappler - Fra storia e cronaca dalle Fosse Ardeatine al tesoro di Fortezza”, emergono particolari davvero raccapriccianti con le dichiarazioni di due graduati. Uno di loro disse: “E’ orribile quello che il capo combina. E’ un maiale” così atroce da venir condannato alla fucilazione dal tribunale speciale germanico che aveva scelto Gardone come sede per i processi militari. Condannato non per aver ucciso una partigiana, ma per essersi congiunto con una donna di razza inferiore, delitto impersonabile per Himmler il tragico “custode” della razza ariana. Era stato Kappler a difenderlo davanti ai giudici delle SS; Feuchtinger si era salvato solo perché la sentenza doveva essere approvata dal comandante dell'intera attività di polizia, politica e segreta della Germania, carica che equivaleva a quella di ministro del Reich. Ma la guerra era già diventata una catastrofe per la Germania e Himmler l’inventore del motto “Il nostro onore si chiama fedeltà” cercava di mettersi in contatto con gli Alleati. Per salvarsi, per prendere il posto di Hitler, per indurre americani e inglesi a combattere l’Armata Rossa ormai alle porte di Berlino.

Di rilievo le cronache giudiziarie dei giornali “Alto Adige”, “Corriere della Sera” e de “La Stampa” di Torino. Articoli su tre, al massimo quattro colonne. Ecco il primo: “Il sacrificio di Beatrice Giaccone - rievocato nell’aula delle Assise”. Processo a porte chiuse proprio per i particolari scabrosi legati all’accusa di violenza carnale e alle brutalità delle sevizie sessuali. Poi il titolo ad annunciare che “La belva delle Ardeatine - è giunta ieri notte in via Pilati”. Ecco con un titolo a cinque colonne la deposizione di Kappler culminata con la frase: “Non voglio accusare un mio connazionale”, appunto quel Feuchtinger che aveva respinto ogni responsabilità accusando un suo subalterno del truce delitto. L’ex tenente venne condannato all’ergastolo, pena confermata il 10 novembre del 1952 dalla corte d’assise d’appello presieduta da Carlo Assante, giudice a latere Arcangelo Coraiola, giudici popolari Giovanni Andreolli, Fabio Bertolasi, Attilio Grilli, Giovanni Kiem, Franco Endrici e Norbero Gilli. L’imputato sarà graziato nel 1963 dall’allora Presidente della Repubblica Antonio Segni. E sparirà nella Germania occidentale.

Kappler era già venuto a Trento nella primavera del 1944 probabilmente per organizzare i rastrellamenti dei partigiani che operavano nelle montagne fra il Grappa e il Tesino. Arrivò nella chiesa che c’ è sopra la Busa e un testimone ancora vivente ricorda benissimo la porta della chiesa che si apriva e due uomini in uniforme nera, due ufficiali delle SS, entrare per dirigersi verso la bancata di destra, quella riservata per tradizione ai maschi dove c’erano, inginocchiati, solo alcuni uomini anziani. Era di domenica, una domenica forse di maggio perché gli ippocastani lungo la Fersina erano in piena fioritura. Entrando, si erano tolti il berretto nel quale, dopo averlo appoggiato sul banco, avevano messo i guanti, anche quelli neri. Tutta la gente si era girata verso di loro. Certo, a Trento divenuta città del Terzo Reich, i soldati germanici erano di casa dall’alba del 9 settembre del 1943, acquartierati nelle caserme che erano state del Regio Esercito, nella casa del fascio in largo Porta Nuova sulla quale era esposta una gigantesca bandiera con la Svastica, nelle scuole Sanzio e nelle lunghe ore degli allarmi aerei, nei rifugi di piazza Venezia e di via Grazioli, quello scavato proprio sotto la chiesa. E c’ erano soldati della Wehrmacht nelle osterie, nei caffè, a presidiare la stazione ferroviaria, accampati a Gardolo nell’aeroporto della Caproni, nella casa di tolleranza di via Brennero e nelle ore consentite dalle regole del coprifuoco, nella balera di corso Tre Novembre, angolo via Perini: forse era Villa Alessandra. Ma quelli delle SS non si erano mai visti e l’ingresso dei due ufficiali era stata una sorpresa anche perché si sapeva che quelli delle SS erano luterani, quindi pagani. E si sussurrava che fossero molto feroci.

I due ufficiali erano arrivati in via Venezia nel piazzale all’epoca in terra battuta, che si apre di fronte ai civici 47 e 49 a bordo di una Kübenwagen color sabbia maculata di verde. Avevano dato un’occhiata ad alcuni bidoni di fumogeni, quella puzzolente mistura di cloridrica solforica e anidride solforica che venivano aperti quando i bombardieri alleati erano sulla verticale della città nella convinzione che la nube nera, densa e greve oscurasse gli obbiettivi. L’autiere era rimasto in piedi dietro il veicolo, i due graduati si erano diretti verso la chiesa e a guerra finita, si era saputo che uno dei due era proprio Kappler . Forse usciti dal tempio erano entrati nel vicino convento caratterizzato da un bellissimo chiostro, certamente avevano proseguito per Roncegno dove il palazzo delle Terme e altri alberghi costruiti nella metà dell’ Ottocento dall’Austria erano stati requisiti dopo l’8 Settembre del Quarantatrè da militari della marina tedesca, da uomini della Gestapo, delle SS e da quelli della Hitler Jugend. Oggi possiamo confermare quanto era stato scritto dal professor Riccardo Montibeller all’epoca impiegato presso gli uffici della Todt che il paese era diventato centro operativo della lotta contro i partigiani annidati fra Bassano, il Monte Grappa e il Passo del Broccon; che a Roncegno era arrivato anche il generale Albert Konrad Kesserlingk il comandante di tutte le forze tedesche in Italia deciso a tener sgombra la Valsugana dalle formazioni partigiane. Operò con grande durezza nel reprimere la Resistenza e fu responsabile di crimini di guerra sia contro i partigiani che la popolazione civile. Processato dagli Alleati venne condannato a morte, poi la sentenza venne commutata in ergastolo per tornare in libertà nel 1952. Non si conosce se negli anni Cinquanta, quelli della “guerra fredda”, venne in qualche modo coinvolto nella preparazione delle forze armate inglesi di stanza in Germania contro “il pericolo rosso”. E’ invece certo che furono appunto gli inglesi a mostrare completa clemenza nei confronti del generale che si definì “soldato fino all’ultimo giorno” e mai rinnegò la sua fedeltà ad Hilter.

Anche Roncegno ebbe la sua “villa triste”, quella villa Kofler dove si torturavano quanti venivano sospettati di essere partigiani. Comandava un Hauptsturnfürer reduce dal fronte russo che si vantava, speriamo che questa sia solo una leggenda, di aver ucciso duecento bambini. Un nome che comunque ricorre fra Brescia, Roncegno, Strigno, Trento e Bagolino nella valle del Caffaro . E c’era anche il tenente Feuchtinger un altro reduce dal fronte russo.

Dunque, Roncegno come luogo ideale per l’Obersturbannführer che a Roma era come comandante del Sicherheitsdientst - le SD - aveva anche il controllo della polizia fascista e delle bande che, ferocemente, l’attorniavano. Proprio nella Capitale sviluppò indiscutibili quanto tremende capacità poliziesche. Comprese, prima di altri la defenestrazione di Benito Mussolini. O meglio: venne immediatamente informato dell’esito del voto del Gran Consiglio del fascismo. Localizzò il luogo dove il Duce era tenuto prigioniero e per ordine di Heinrich Himmler pianificò la liberazione di Mussolini da Campo Imperatore, poi organizzò la cattura di Galeazzo Ciano, il genero del Duce, uno dei leader del Pnf, l’uomo che aveva firmato il Patto d’Acciaio e protagonista, con il volgere al peggio della guerra che da vittoriosa, stava diventando disastrosa, dei tentativi di sganciamento dalla Germania. Defenestrato, si schiererà contro il Duce-suocero e firmando il famoso ordine del giorno del 25 Luglio che fece cadere il partito. Poi l’assurdo tentativo di fuggire in Spagna finendo, accompagnato quasi per mano da Kappler, nelle braccia dei tedeschi che dopo averlo portato a Monaco di Baviera lo trasferiranno a Verona dove verrà fucilato dagli ex camerati.

Kappler era un ammiratore di Himmler forse il più tragico fra i criminali del nazismo, il maggior responsabile del nuovo ordine nazionalsocialista e l’organizzatore con Reinhard Heydrich e Adolf Eichmann, della soluzione finale della questione ebraica. Questi i “maestri” di Kappler che, dopo l’8 Settembre del 1943 mentre re Vittorio Emanuele III fuggiva da Roma assieme al capo di Stato Pietro Badoglio, fece arrestare la principessa Mafalda di Savoia, secondogenita del re d’Italia ma cittadina tedesca per aver sposato un ufficiale, e per giunta nobile, delle Schutzstaffe.

La partecipazione di Kappler al trasferimento della principessa al Lager di Buchenwald non fu marginale. Quando l’Italia ruppe l’alleanza con la Germania, Mafalda di Savoia era a Sofia per i funerali di re Boris; venne consigliata di restare in Romania, lei volle tornare in Italia. Un viaggio avventuroso e finalmente il ritorno a Roma già occupata dalle truppe germaniche. Il 23 settembre la principessa che si trovava a Villa Polissena viene convocata da Kappler a Villa Volkonski, sede dell’ambasciata tedesca. Le spiegano che suo marito Filippo d’ Assia vuole mettersi in contatto telefonico con lei. Ma è una trappola: verrà deportata nel campo di concentramento di Buchenwald dove mentre la guerra stava per finire, morirà per le ferite riportate in seguito a un bombardamento. Ma sul nostro territorio ci saranno altre imprese dell’ Obersturbannführer.

(10, continua)

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