L’editoriale / La strage

I (troppi) morti che non vediamo

I migranti, con le loro storie, con i loro sacrifici, con i loro sogni, sono invisibili

di Alberto Faustini

TRENTO. Il mare della vergogna non ha colore. È un mare di cadaveri che ancora una volta preferiamo non vedere. Colpa dell'Europa. Colpa della Libia. Colpa dell'Italia. Il cerino del dolore si passa di mano in mano, insieme alle accuse. I migranti, con le loro storie, con i loro sacrifici, con i loro sogni, sono invisibili. Del resto, ci siamo assuefatti persino al tragico bollettino quotidiano delle vittime del Covid.

Abbiamo un sussulto quando ci tocca da vicino. E solo quando ci colpisce in faccia riusciamo a dare un volto a questa maledetta peste, riusciamo a cogliere l'infinito sforzo che sta travolgendo da oltre un anno chi opera nel mondo sanitario. Ma se non ci siamo dentro fino al collo, tendiamo quasi a non voler sapere. E allontaniamo ogni cosa e ogni tragedia dal nostro sguardo: è invisibile il Mediterraneo, con tutte quelle croci corrose dall'acqua, dal sale, dal freddo e dal silenzio; è invisibile Roma, dove da mesi centinaia di morti aspettano di poter riposare in un cimitero; è invisibile tutto ciò che almeno all'apparenza è lontano da noi. Vincenzo Passerini, sabato 24 aprile, su queste pagine l'ha scritto con disarmante chiarezza: «Una nuova strage che si poteva evitare. Da due giorni tutti sapevano che c'erano tre barconi nel Canale di Sicilia in pericolo d'affondare per il mare mosso».

Ma non è intervenuto nessuno. È impossibile persino contare i morti: 100, 130, qualcuno dice 150. A Bergamo, mentre i camion partivano alla ricerca di nuovi cimiteri in piena emergenza Covid, si faticava a dare un nome preciso ad ogni corpo, si faticava persino a capire dove fossero finiti i nostri cari. Nel Mediterraneo i corpi non ci vedono più, come sempre. E non vedere aiuta a dimenticare più in fretta. Ma sono immagini che dobbiamo conservare nel cuore, a maggior ragione in questo giorno della doppia liberazione, in ore che ci riportano a un 1945 che ormai non si ricorda più. Quando i testimoni oculari finiranno, faticheremo ancora di più a ricordare non solo cosa sia stata la guerra, ma cosa siano stati il fascismo e il nazismo e quanto alto sia stato il prezzo pagato per potersi dire liberi.

Queste giornate, invece, vengono vissute per il ritorno alla "zona gialla" più che per quel che è accaduto a chi ci ha preceduto nella costruzione di ciò che oggi consideriamo tanto normale quanto dovuto. Ma tratteniamo l'euforia e pensiamo alla Sardegna, diventata bianca e poi subito rossa per la fretta di vivere di nuovo la normalità.

Passerini scrive anche che «il Mediterraneo è la tomba dei valori europei» e si chiede, giustamente, se i resistenti siano morti perché noi ci comportassimo così.

L'indifferenza è un tarlo che uccide lentamente, scavando dentro l'anima di chi un'anima finisce per non averla. Le nostre sono (dovrei scrivere erano?) terre solidali, terre di convivenza, terre in cui l'altro è stato, anche se talvolta faticosamente, accolto e compreso. Ci siamo forse liberati anche della nostra umanità?

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