Grideremo anche per chi non ha voce

di Alberto Faustini

Lo dicevo ieri a un allarmato don Lino (Zatelli), che mi ha chiamato per chiedermi notizie sulla chiusura del “Trentino”: «Certi esponenti del mondo della politica trentina, non meno di certi autorevoli imprenditori, mi ricordano quei parroci che si lamentano perché le chiese si svuotano». Commettono due errori, quei parroci: il primo è quello di non chiedersi cosa avrebbero potuto e dovuto fare loro. Il secondo è quello di parlare a chi in Chiesa c’è, a chi insomma, nel suo piccolo, il proprio dovere lo fa. Fuor di metafora: i giornali si salvano andando in edicola, abbonandosi, facendo pubblicità. Non facendo dichiarazioni. Non strappandosi le vesti dopo. Il mondo è pieno di “dopisti”: di persone che dopo hanno sempre una dichiarazione autoadesiva, di quelle che, come diceva il grande Saviane, puoi attaccare a qualsiasi situazione. È un tema, questo, che sollevò con forza anche il mio predecessore, Pierangelo Giovanetti, quando si rese conto che a salvare l’Adige - perché acquistare un giornale significa prima di tutto salvarlo, garantendo futuro a chi ci lavora - sarebbe stato un imprenditore altoatesino. L’unico che si sia fatto davvero avanti. L’uomo che venerdì, dopo un consiglio d’amministrazione non facile, ha alzato, soffrendo, bandiera bianca. Alla luce della crisi, alla luce dei bilanci, non c’erano alternative per il “Trentino”. Il che nulla toglie a un dramma che riguarda colleghi, famiglie, mondi ai quali da oggi l’Adige cercherà di rivolgersi con attenzione ancora maggiore: perché noi dobbiamo parlare ai nostri lettori e a anche a quelli che da oggi sono orfani, anche a quelli che tifavano per l’altro giornale come si tifa per un’altra squadra di calcio. Abbiamo un compito di grande importanza: quello di garantire il pluralismo, ascoltando ogni respiro, ogni sensibilità, ogni voce della comunità. Ma ascoltare tutti non significa, ad esempio, non notare che c’è un pezzo di politica che i giornali non li sopporta, che con una mano taglia copie e investimenti e che con l’altra si dispera, dimentico di tutte le volte che ha protestato - talvolta con velenose derive sui social - per non aver avuto lo spazio che riteneva di meritare. E anche gli imprenditori devono farsi qualche domanda: ci sono molti modi per salvare un giornale, ma non si può pretendere che a salvarlo siano sempre altri. Lo sapete bene: un giornale è un testimone del tempo, è un pezzo vivo di un territorio, è una palestra di libertà e di confronto, è un cane da guardia sempre pronto a mordere e a controllare ogni potere. Per questo il “Trentino” - come ha scritto anche ieri la redazione de l’Adige - mancherà a noi, come ai lettori che l’hanno letto fino all’ultimo. Per questo continueremo a seguire con attenzione le sorti dei colleghi e dei tanti collaboratori che da ieri sono rimasti senza lavoro. Per questo da oggi la nostra voce raddoppierà. Quando servirà, urleremo anche per chi non ha più voce. Camminando insieme a voi lettori, fedeli e preziosi tutori della nostra libertà, della nostra forza, del nostro futuro.

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