Il diario di Ernesta Bittanti-Battisti sull'orrore delle leggi razziali

Il diario di Ernesta Bittanti-Battisti sull'orrore delle leggi razziali

di Luigi Sardi

Le leggi razziali imposte da Benito Mussolini nell’autunno del 1938 sono una pagina tristissima ma ancora abbastanza oscura nella storia della nostra Nazione. In questa sorta di limbo della conoscenza spiccano gli scritti, forse poco noti, di Ernesta Battisti la vedova di Cesare Battisti che a Trento, all’alba del Novecento, nel giornale “Il Popolo” di fede socialista era stata collega di Benito Mussolini con il quale aveva rotto ogni rapporto alla vigilia della Marcia su Roma. Addirittura il 22 giugno del 1924, e questo lo si legge sulle pagine del “Nuovo Trentino” diretto da Alcide Degasperi, otto giorni dopo l’omicidio del socialista Giacomo Matteotti, appreso che i fascisti di Trento stavano per recarsi in corteo al Castello del Buonconsiglio, li precedette nella fossa detta “dei Martiri” e inginocchiata davanti al cippo che segna il luogo dell’ impiccagione del marito, lo ricoprì con quel grande velo nero di pizzo donato nel luglio del 1918 dalle donne di Cantù, che era solita portare sulle spalle in segno di lutto perpetuo.

I fascisti si indignarono; a qualsiasi altra donna avrebbero fatto bere l’olio di ricino, ma nessuno poteva alzare la mano sulla vedova più importante d’Italia che a Milano, dove si era trasferita, cominciò a scrivere quel diario attorno alle leggi razziali. “La grande massa ne è sbalordita. Non comprende. La stampa che è tutta statale e vuole avere uno spirito anti ebraico, dà uno spettacolo pietoso, ributtante di incongruenze, contraddizioni, spropositi storici, nefandezze da sciacalli… è l’ obbedienza [di Mussolini] a Hitler in cambio della intangibilità dell’Alto Adige”.

Da oltre Brennero arrivavano con il vociferare dai membri delle gerarchie naziste, notizie allarmanti raccolte dal Sim, il Servizio informazioni militari, puntualmente riportate nei Diari di Galeazzo Ciano, il Ministro degli Esteri dell’Italia fascista. Volevano “portar via agli italiani Trieste per il porto che dava ai tedeschi l’ accesso all’ Adriatico, quindi al Mediterraneo; occupare le ricche pianure settentrionali d’ Italia, trasformare il Lago di Garda in un paradiso per le vacanze e luogo di cura e riabilitazione dei soldati feriti”. E il passaggio del Brennero e del Sudtirolo al Terzo Reich che sembrava imminente, spaventava il Duce. Ben consapevole che non poteva opporsi alle armate naziste, cercava di seguire le orme del camerata tedesco. Per tenerselo amico.

Si legge negli scritti di Ernesta Bittanti-Battisti: “I documenti dei modi delle interdizioni [degli ebrei dai pubblici impieghi] sono sui giornali. I quali sono specchio della viltà d’obbedienza dei non ebrei nella persecuzione. Molti ebrei emigrano. Scienziati e professionisti valenti e noti, hanno trovato pronto e favorevole collocamento soprattutto in regioni che ancora abbisognano di forze culturali”. Un altro capitolo: “L’antisemitismo germanico è sorto dall’orgoglio tedesco che ha voluto addossare ingiustamente agli ebrei la sconfitta nella Grande Guerra… noto sul “Popolo d’Italia” (il giornale fondato da Mussolini e diretto dal suo fratello Arnaldo) la fotografia di un negozio di Cortina d’Ampezzo che porta la scritta: Gli ebrei non sono desiderati in questo locale”. Accadrà nel 1948 e in Belgio, che all’ingresso di molti locali comparirà la scritta “ E’ vietato l’ingresso ai cani e agli italiani” mentre a Torino c’erano i cartelli “Non si affitta ai meridionali” e a Trento, ai tempi dell’Asar, le scritte “Via i teroni da Trent”.

Dal canto suo, padre Agostino Gemelli il confessore del generale Luigi Cadorna dal 1915 al giorno di Caporettoi, l’autore del libro “Il soldato nostro” che è un succedersi di elogi al comandante in capo del Regio Esercito, il sacerdote che a Trento il 22 novembre del 1918, ai piedi del monumento a Dante celerò il Te Deum della vittoria, il fondatore delle Cattolica di Milano, “chiama l’ebreo il popolo deicida su cui non si placherà l’ira del Signore”. Bittanti, accennando al discorso tento da Hitler il 30 gennaio a Berlino “solennizzando il sesto anniversario del nazionalsocialismo, ha insistito sulle sue minacce: la distruzione della razza ebraica in Europa. Potrebbe essere dovuta all’obbedienza di Mussolini a Hitler la persecuzione degli ebrei in Italia” tesi sostenuta dal conte Alessandro Casati senatore nel 1923 e l’anno dopo Ministro della Pubblica Istruzione nel Governo Mussolini, ruolo abbandonato dopo solo sei mesi quando ruppe la collaborazione al fascismo: “Le leggi razziali [sono la conseguenza] dell’obbedienza del Duce a Hitler, in cambio dell’Alto Adige”.

Le note della Bittanti raccontano le persecuzioni subite dagli ebrei. Ecco la “crocerossina ebrea Vitale, durante guerra infermiera negli ospedaletti da campo, radiata dalla Croce Rossa… Bice Cammeo fondatrice da quarant’ anni di un asilo benefico a Firenze, cacciata dal suo impegno mentre partono per l’America “un’ebrea con il marito, fascisti della prima ora. Lei lavorava nella rivista “Gerarchia”… il marito dismesso dall’Università”. Fra il novembre e il dicembre del 1938 “si annoverano in questo smarrimento dei suicidi, che vogliono essere una protesta morale. Quello dell’editore Angelo Fortunato Formiggini, di un colonnello dinnanzi ai propri soldati, chiamati a rapporto, di un generale che si sparato sulla tomba del Milite Ignoto sulla quale ha gettato le proprie decorazioni, di un ufficiale decorato del Grande Guerra che si tolto la vita dinnanzi al Quirinale dopo il rifiuto del re a riceverlo”.

Riuscì a far pubblicare sul “Corriere della Sera”, il 18 febbraio del 1939, l’annuncio della morte dell’ingegnere Augusto Morpurgo. Questo il testo pubblicato su un quotidiano, dell’ultimo necrologio comparso su un quotidiano, di un ebreo: “La vedova di Cesare Battisti annuncia in pianto ai superstiti amici dell’eroica vigilia di Trento e Trieste la morte del figlio di Salomone Morpurgo e Laura Franchetti, l’ingegnere Augusto volontario decorato della grande guerra come l’unico l’ unico fratello caduto ventenne sulle montagne trentine”.

Sulla prima pagina del giornale “Il Brennero” di venerdì 11 novembre 1938, il titolo è “L’azione antisemita nei Reich - nella dichiarazione di Alfredo Goebbels” e come sottotitolo “Il problema sarà risolto presto e in modo radicale”. Il ministro della propaganda di Hitler non aveva sopportato l’enciclica di Papa Pio XI (Achille Ratti) “Mit brennender Sorge” (Con cocente preoccupazione) per denunciare la situazione religiosa nel Terzo Reich, scritta il 10 marzo 1937 non in latino ma in tedesco perché doveva essere diffusa e compresa dai fedeli nelle chiese germaniche. Un anno dopo gli serviva un pretesto per “giustificare” di fronte al resto del mondo l’ inizio dello stermino degli ebrei. Che arrivò il 7 novembre del 1938 quando a Parigi e negli uffici dell’ambasciata tedesca venne ucciso il funzionario Ernst Eduard von Rath da Herschel Grynszpan un polacco di 17 anni. Delitto politico? Forse no. Nel 2001 il professor Hans-Jürgen Döscher autore del libro  “La notte dei cristalli” pubblicò alcuni documenti per dimostrare che Grynszpan e von Rath fossero stati amanti e che l’omicidio venne compiuto per una questione sentimentale.

Von Rath era conosciuto a Parigi come omosessuale; soprannominato nel circoli gay della capitale francese “Madame Ambassadeur” e “Notre Dame de Paris”. Secondo Döscher aveva incontrato Grynszpan nel locale omosessuale “Le Bouef surf le Toit” anche se non è chiaro se Grynszpan fosse realmente omosessuale o volesse sfruttare la sua indubbia avvenenza per conquistare un amico influente. Nel libro di Döscher, von Rath avrebbe promesso il proprio interessamento per regolarizzare la posizione di Grynszpan in Francia, ma quando il giovane polacco capì che non avrebbe mantenuto la parola, sarebbe andato all’ ambasciata di Germania, dove aveva libero accesso, per ucciderlo.
Arrestato, Grynszpan dichiarò alla polizia parigina: «Essere ebreo non è un crimine. Io non sono un cane. Io ho il diritto di vivere ed il popolo ebraico ha il diritto di esistere su questa terra. Dovunque sono stato, sono stato inseguito come una bestia».

Nonostante gli sforzi congiunti dei medici francesi e tedeschi, tra cui Karl Brandt medico personale di Hitler, Rath morì il 9 novembre nel quindicesimo anniversario del Putsch di Monaco del 1923 e nel ventesimo della sconfitta tedesca nella Grande Guerra. La morte del diplomatico venne usata per giustificare il pogrom contro le comunità ebraiche tedesche, passato alla storia come la Notte dei Cristalli che segnò il barbaro inizio della strage degli ebrei.

Proprio in quel giorno di novembre mentre in Germania si scatenava l’assalto alle sinagoghe, il Quotidiano Fascista Tridentino annunciava a titoli cubitali, l’approvazione delle leggi razziali nate dalla decisione del Gran Consiglio del Fascismo del 6 ottobre che travolgerà anche quegli ebrei iscritti al fascio, chiamati “della prima ora” perché erano stati quelli che fra i primi avevano dato il via alla rivoluzione.

(10 Continua)

 

Nella foto Ernesta Bittanti al centro con i figli

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