Troppa plastica, anzi no...

di Zenone Sovilla

Incredulità o disillusione? Chissà quali sentimenti albergano nell'animo di chi, come lo scrivente, già trenta e più fa si impegnava contro la crisi ecologica e le sue nefaste conseguenze sulla salute umana e dell'ambiente naturale.

Che dire di fronte alla spericolatezza utilitaristica di politici (e industriali) che non si fermano nemmeno davanti a misure minime di buon senso, come la cosiddetta "plastic tax".

Lo scenario è disarmante. Gente abituata a vacue messe in scena istituzionali più che a pensieri politici, navigati baroncini pronti a tutto pur di polarizzare un po' di visibilità mediatica, un posizionamento favorevole di partiti stravecchi o neonati, uno sguardo benevolo di qualche potentato industriale.

"Fuori i baroni. Neri, bianchi, rossi e a pallini", c'era scritto su un muro universitario romano, immortalato da Tano D’Amico nel '77.

Ecco, di fronte a questo pervasivo benaltrismo ultraconservatore più che incredulità o disillusione il sentimento è di fastidio per la pochezza politica incarnata dai baroncini della nostra epoca.

La speranza è che presto sia veramente protagonista in politica la generazione dei millennials, l'unica a quanto pare in grado di riprendere il filo delle lotte ecologiste degli anni Settanta e Ottanta, lotte cacciate nei sottoscala della storia dai baroni neri, bianchi, rossi e a pallini che nell'ultimo trentennio hanno occupato - loro sì - lo spazio pubblico assecondando acriticamente le pulsioni aggressive del libero mercato, perseguendo la massima deregolamentazione e concorrenza (con prevedibile imbarbarimento dei comportamenti non adeguatamente mitigato dalle leggi).

Risultato: aumento progressivo delle criticità ambientali (morti da inquinamento di varia origine, mutazioni climatiche, devastazioni di territori); crescita delle diseguaglianze economiche (con tanto di accelerazione nel post crisi del 2008: dietro le parole in libertà di governi e grandi imprese "eticamente" sensibili, c'è la minoranza di ricchi che sta sempre meglio, per tutti gli altri le difficoltà invece aumentano); diffusione della precarietà sistemica, specie fra i giovani (legislazioni che hanno indebolito lo status dei lavoratori a favore dei profitti aziendali, scaricando sulla collettività i costi sociali di questi processi); timidezza (per usare un eufemismo) del regolatore pubblico nei riguardi di attività d'impresa nocive per gli esseri viventi, umani e non (legislazioni spesso lacunose, controlli pressoché assenti, danni causati dai privati approfittatori e costi sociali per cure sanitarie e ripristino ecosistemico a carico dell'ente pubblico).

Per decenni è stato quasi un tabù puntare anche solo minimamente il dito contro queste evidenze del quadro socioeconomico.

Ampie parti dell'anfiteatro politico scattano come un sol uomo, un esercito di riflessi condizionati, a sbraitare contro le tasse oppressive, l'attacco alla libertà d'impresa e alla proprietà privata.

Il resto dell'emiciclo partitico (ma pure sindacale) sempre più timido e smarrito, incapace di assumersi la responsabilità delle idee, della causa che si reputa giusta pur se sconveniente nel mercato del consenso digitale.

Ci si confronta, certo, si media, si cerca un punto di caduta; ma non si rinuncia a priori alle prorie convinzioni perché non è di moda, non porta voti, non passa sui media. E invece...

La questione plastica, in questo senso, è eclatante.

Anziché balbettare si dovrebbe affermare orgogliosamente la necessità di azioni minime come questa piccola tassa di 4-5 centesimi per bottiglia di acqua minerale.

La politica ha lasciato per decenni che i produttori ci invadessero con l'acqua nelle bottiglie di plastica e ora non ha nemmeno il coraggio di difendere e di rilanciare di fronte a chi penosamente si schiera contro iniziative minimaliste ma giuste come questa?

Se entriamo in un supermercato e cerchiamo una bottiglia d'acqua o un vasetto di yogurt in un contenitore di vetro, rischiamo di uscire a mani vuote.

Troveremo centinaia di varianti di plastica e, forse, seminascosto in qualche angolo, un povero barattolino di vetro.
Eppure sappiamo che, accanto alle plastiche realmente compostabili, la soluzione tra riciclo e riuso sta nel ritorno al vetro e magari al vuoto a rendere.

Il legislatore è responsabile di questo scenario plastificato e delle conseguenze esiziali sull'ambiente naturale.

Eppure bastava vietare l'uso della plastica per la commercializzazione di un certo tipo di prodotti o sotto determinate quantità.

Per non parlare degli imballaggi inutili.

L'invasione della plastica è figlia della deregolamentazione, dell'espulsione della politica da aree fondamentali della galassia economica. Siamo obbligati a utilizzare guanti di plastica per comprare un po' di verdura al supermercato ma il medesimo legislatore che ha introdotto simili provvedimenti (oggi forse anacronistici) si è ben guardato dal limitare l'assalto di plastica nei negozi e nelle nostre case.

Se oggi si nota un barlume di inversione di tendenza, va incoraggiato. Chi si mette di traverso va collocato correttamente fra i reazionari che da decenni ostacolano in tutti i modi una reale variazione di rotta, verso almeno un'idea seria di conversione ecologica globale.

L'auspicio è che siano i ragazzi, come quelli del movimento Fridays for Future, a sancire il declino di questi politici antistorici e delle loro funamboliche fondazioni e rifondazioni pseudopolitiche: fuori i baron(cini) dalla politica, neri, bianchi, rossi e a pallini.

Potrebbero entrarci, piuttosto, i giovani, sinceramente verdi. Magari nel solco ecologista, federalista e nonviolento, frettolosamente archiviato nelle prassi politiche, tracciato quasi mezzo secolo fa da figure come Alex Langer. Chissà.

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