Da Matteo a Matteo, 5 anni dopo Ora Salvini ha in pugno l'Italia

di Alberto Faustini

Da Matteo a Matteo. I cinque anni che cambiarono l'Italia.

In un 2014 che sembra ormai lontanissimo, le europee videro il Pd renziano volare al quaranta per cento e gli consegnarono il Paese. Ora a volare oltre il 34 per cento è l'altro Matteo: quel Salvini che ha stravinto la prima "verifica" elettorale che lo contrapponeva all'alleato (si fa per dire) pentastellato di governo e che di fatto s'è mangiato in un sol boccone l'Italia di oggi.

Qualcuno dirà, con Ennio Flaiano, che «gli italiani volano in soccorso del vincitore», e in fondo è davvero così. Da sempre. Ma se si pensa che cinque anni fa la Lega mandò a Bruxelles e Strasburgo complessivamente cinque europarlamentari e che a staccare il biglietto per l'Europa ieri sono stati invece 29 leghisti, si ha un'idea della dimensione del trionfo (salviniano, ancor più che leghista) e del repentino e continuo cambiamento che caratterizza il nostro voto, il nostro rapporto con la politica, fors'anche il nostro umore.

Il tonfo del Movimento 5 stelle rispetto a un anno fa è davvero importante: la politica dei continui no, evidentemente, non ha pagato. Chi, fra gli italiani, chiedeva e voleva qualcosa di nuovo, ha scelto la Lega o è tornato a "casa", laddove per casa s'intende un Pd che - trainato anche da un effetto Calenda e dal tentativo di rimettere insieme qualche coccio del centrosinistra perduto - ha dimostrato di esserci ancora e di poter dire la sua. Sia al tavolo dell'attuale governo, se queste elezioni dovessero portare a una crisi che potrebbe rimescolare tutto, sia come unica possibile alternativa di peso all'attuale equilibrio gialloverde.

I due scenari sembrano lontani, anche perché Berlusconi già sogna di risposarsi con Salvini e anche perché Zingaretti - che faticherebbe a sostenere un governo che spinge e tira a destra - potrebbe non trovare spazio per sparigliare. Ma una cosa è già certa: da oggi Salvini spingerà palazzo Chigi e l'ologramma Conte in una direzione ben precisa (e ben diversa da quella inseguita dai grillini in questi mesi) ed è difficile che nella stanza dei bottoni del Paese si resista compatti all'urto di questo voto. Difficile, anche, che il presidente della Repubblica Mattarella rimandi gli italiani a votare. Verosimile, invece, che si cerchino altre alleanze dentro l'attuale parlamento. I numeri non aiutano, ma in quattro anni, come s'è visto, può succedere di tutto.

Anche che a spingere per il ritorno alle urne sia proprio Salvini: un'occasione come questa potrebbe non ricapitargli più. E Giorgetti, il sottosegretario leghista che se n'è uscito con un «così non si può andare avanti» a poche ore del voto, a Matteo (Salvini) ha regalato da tempo una foto dell'altro Matteo (Renzi): per ricordargli che il vento può cambiare molto in fretta, in Italia.

Spostando lo sguardo sulla nostra terra, il primo dato che emerge è ormai un "classico": Il Trentino ha dimostrato ancora una volta di non essere più un'isola politica. Venti, umori, disagi, accelerazioni nazionali si riproducono anche sotto Salorno. E, elezioni europee a parte, a rendere ancor più evidente il dato ci hanno pensato le suppletive: i candidati leghisti Martina Loss (che subentra a Giulia Zanotelli, che ha preferito la giunta provinciale al Parlamento) e Mauro Sutto volano a Roma forti di un vento che non sorprende nemmeno più. Il risultato era così atteso - va detto e va in particolare ricordato a chi ha fatto le scelte prima del voto - che il Pd trentino ha messo in campo fin dall'inizio due magnifiche perdenti: i profili di Giulia Merlo e Cristina Donei sono più che dignitosi, ma si sapeva oggettivamente da tempo che nulla avrebbero spostato in una corsa già segnata.

Un'altra candidata o un altro candidato avrebbero potuto fare meglio? Forse sì, ma di fronte al 37,7 per cento raccolto in Trentino dalla Lega (quasi cinque volte l'8,72 per cento dei cinque stelle) e al cospetto del 46,6 per cento strappato da Martina Loss nel collegio di Trento, nemmeno Mandrake avrebbe potuto qualcosa.
Di qui la scelta, del Pd, di proteggere eventuali candidati da mettere in campo nella sfida (vera) che il centrosinistra non vuole e non può perdere: l'elezione, fra un anno, del sindaco di Trento, passaggio che la Lega - che però non potrà piazzare Matteo Salvini alla guida della lista - vuole giocarsi fino in fondo.
Mauro Sutto, chiamato a sostituire invece Fugatti (diventato governatore del Trentino) in Valsugana, ha addirittura sfondato il muro del 50 per cento: arriverà in Parlamento con una dote di 27.513 voti (51,08 per cento). L'ex procuradora della val di Fassa ha portato a casa 19.386 voti (35,99 per cento). Non c'è stata gara, insomma. Del resto, per il centrodestra il collegio della Valsugana è ormai una sorta di grande barriera che il centrosinistra non riesce a superare, per dirla con parole care ai cultori del Trono di spade.

Va anche detto che in Trentino una minuscola anomalia c'è: il fatto che l'eurodeputato Herbert Dorfmann, raccolga un buon pugno di voti, con l'aiuto del Patt, anche a Sud di Salorno. Anche senza questo aiutino il parlamentare altoatesino sarebbe probabilmente tornato in Europa per la terza volta, ma il dato dimostra che qualche pezzo d'isola autonomista ancora c'è.

Spostando lo sguardo più a Nord, si può dire che il voto di domenica ha confermato e rafforzato, in Alto Adige, il verdetto delle ultime provinciali: la Lega vola (trascinando ma in gran parte fagocitando il resto del centrodestra), il Movimento 5 stelle arranca, il Pd è quello che è e il nuovo interlocutore è il Team Köllensperger.
Un risultato, quello di un Team che ha perso alle europee (in virtù dell'alleanza scelta), ma vinto, come dire, nella "verifica" provinciale, "conta" che fa già pensare che per arginare il centrodestra, il centrosinistra dovrà necessariamente scendere a patti sia con la Svp - com'è ovvio - che con il Team (come ovvio non era affatto).

Il sindaco Caramaschi, che già immagina di fermarsi in Comune altri cinque anni, è già avvertito. Le comunali, si dirà, non sono le europee. Il che può anche essere vero, ma solo in parte: certi venti, quando non scemano, dimostrano che la tendenza è netta. Il vento gonfia le vele della Lega, fortissima a Bolzano, e anche quelle di Kompatscher, che la Lega l'ha sposata per far partire il suo secondo mandato presidenziale.

L'Alto Adige non è riuscito a strappare il secondo eurodeputato (sono ormai lontani i tempi del parlamentare verde che affiancava a Bruxelles e Strasburgo quello della Svp), ma ha riportato Herbert Dorfmann in Europa per la terza volta con un risultato a dir poco netto. In tal senso è paradossale che la Lega trentina abbia di fatto rinunciato ad un europarlamentare quasi sicuro: ben difficilmente il seggio sarebbe sfuggito a Mirko Bisesti. Ma il giovane rampante ha preferito restare assessore provinciale. Forse perché già sogna, nella prossima legislatura, di sostituire il presidente Fugatti?

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