Gli ebrei nel 1938, i migranti oggi

di Vincenzo Passerini

Nelle sue memorie Silvia Forti Lombroso, perseguitata col marito perché ebreo, ricorda che nell’odio e nell’indifferenza in cui era precipitata l’Italia dopo le leggi razziali del 1938 non mancarono le persone che li aiutarono e che per questo subirono a loro volta insulti e persecuzioni: «Ripenso a voi, nobili e cari e indimenticabili amici, che ci siete venuti incontro nell’ora del dolore con tanta delicata comprensione, con generosità così calda, con così consolante e coraggioso disinteresse! Siete sparsi un po’ dappertutto, dalla Liguria rude ma sincera, alla cara lontana Sicilia, e nell’agonia dei giorni tormentosi i fili d’oro della vostra amicizia ci hanno protetto, con un velo impalpabile, dalle ferite più crudeli.

Una parola fu coniata per voi: «pietisti», e vi fu gettata in faccia come un’accusa. Come pietisti l’avv. R. e il dr. B. furono mandati al confino; e con loro quanti altri!

La nuovissima civiltà infatti ha paura specialmente di una cosa: di lasciar sussistere negli individui dei sentimenti umani. Giustizia, tolleranza, solidarietà, pietà, sono i nemici peggiori e vanno combattuti con ogni arma» («Si può stampare: pagine vissute 1938-1945», Roma, 1945). «Pietisti»: questo il termine spregiativo inventato per squalificare chi mostrava solidarietà e pietà verso i perseguitati. Il Corriere della sera del 6 dicembre 1938 titolata: «Due fascisti puniti per pietismo filogiudaico», espulsi dal partito perché «affetti da inguaribile spirito borghese si abbandonavano ad incomposte manifestazioni pietistiche nei confronti di un giudeo»; e La Stampa del 5 aprile 1941, in prima pagina, col titolo «Un pietista fuori luogo» dava notizia dell’espulsione dal partito fascista di Giacomo Cassi, colpevole anche lui di «manifestazioni di pietismo» verso un ebreo (Avagliano-Palmieri, «Di pura razza italiana», Milano, 2013, p. 336).

Ernesta Bittanti, vedova di Cesare Battisti, nel suo diario, che resta una delle rare testimonianze italiane di assoluta opposizione alle leggi razziali, manda un messaggio di solidarietà a Luigi Messedaglia, senatore e presidente dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, il quale, come aveva riportato il Corriere della sera del 15 maggio 1943, era stato espulso dal partito perché colpevole di «pietismo»: «Per la civiltà italiana ed umana il mio commosso plauso. Dallo studio di Cesare Battisti Trento» (B. Primerano, «Ernesta Bittanti e le leggi razziali del 1938», Trento, 2010, pp. 76-77).

Ogni epoca ha le sue parole ipocrite e sostanzialmente violente per squalificare e combattere chi mostra solidarietà verso degli esseri umani che una opinione diffusa, la propaganda politica e poi la stessa legge considerano di serie B. Ieri gli ebrei, oggi i profughi. Oggi vengono definiti «buonisti» coloro che aiutano i profughi. Sono esseri umani di serie B, aiutarli non è bontà ma «buonismo». Come non era pietà ma «pietismo» aiutare gli ebrei. Termini spregiativi. Il cuore della questione è questo, se vogliamo capire perché certe tragedie sono accadute ieri, ed altre, seppure non paragonabili in termini di ferocia e dimensioni, accadono oggi. La gente sotto il fascismo, come sotto il nazismo, non era diventata più cattiva. La gente continuava ad essere come prima, con i suoi pregi e difetti. Molti continuavano ad essere buoni come prima: erano altruisti, aiutavano i poveri, facevano volontariato in paese o nel quartiere, assistevano malati ed anziani con umanità, accudivano con amore i bambini, difendevano i diritti dei lavoratori, andavano in chiesa, pregavano, si confessavano, mandavano offerte ai missionari in Africa, aiutavano il prossimo con disinteresse, amavano i cani e i canarini.

Praticavano la solidarietà e la pietà. Solo con gli ebrei non erano buoni, non erano solidali, non erano pietosi. Ma perché era colpa degli ebrei. Non erano esseri umani come gli altri. Erano avidi, profittatori, sanguisughe del popolo, complici dei grandi poteri internazionali che succhiavano il sangue degli italiani, gente dannosa e nemica della comunità. Così diceva la propaganda, lo dicevano in tanti, lo scrivevano i giornali, lo affermavano in alto, lo diceva il partito, lo sanciva infine anche la legge. No, non erano esseri umani come gli altri, cittadini come gli altri. Erano loro a non essere umani come noi. Noi siamo buoni, ma con loro non è possibile, non è giusto, è perfino illegale essere buoni con loro. Se li mandano a morire nei lager è perché ci sono delle ragioni, perché queste persone dannose e pericolose, non devono rovinare più la nostra società. Noi siamo buoni con tutti, ma con loro non è possibile, non è neanche giusto.

Il punto di partenza per convincere la massa a sentirsi buona come sempre ma ad accettare di essere crudele con qualcuno: squalificare quel «qualcuno» come un essere umano di categoria inferiore, diverso da te, dannoso per te, pericoloso per tutti.
Non è forse così anche oggi? La propaganda, ed ora anche la legge, squalifica i profughi come esseri umani di serie B. Esseri inferiori, diversi, dannosi, pericolosi. La gente continua ad essere buona, solo con loro, ma per colpa loro, può essere feroce. E con la coscienza a posto. Li abbandoniamo in mare? Non li soccorriamo? Muoiono di sete o di fame? Affogano? Li riportano nei lager libici? È colpa loro.
Ci vogliono anche le parole giuste per questa educazione popolare alla disumanità selettiva. Alla ferocia selettiva. Parole apparentemente soltanto ironiche, o sarcastiche. Nella sostanza violente e oscene. Pietisti. Buonisti. Specchio della violenza e dell’oscenità di un’epoca.

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