Io bimbo prodigio, a 5 anni già parlavo

Io bimbo prodigio, a 5 anni già parlavo

di Lucio Gardin

Mi ricordo benissimo che, quand’ero piccolo, mio fratello si divertiva a buttarmi per le scale, tant’è vero che ho ancora la testa con tutti i bernoccoli. Lo chiamava il gioco del sacco di patate. Poi, lui scendeva alla fine delle scale, mi raccoglieva, mi riportava in cima e mi ributtava giù. È un giochetto che ci aveva insegnato la mamma per farci stare buoni. Me lo ricordo proprio come fosse successo tanti anni fa, ma continuassi a ripeterlo.
Avevo cinque anni e non avevo ancora pronunciato nemmeno una parola. Sfido io, mi davano da mangiare semolino, fegato di merluzzo, carrube, e qualche pera cotta. È logico che non parlassi, anche per una certa educazione... Ma un giorno, trovando un po’ ripetitivo il gioco sulle scale, mio fratello decise di buttarmi dalla finestra, e in quell’occasione mi scapparono le prime parole: «Nooo la finestra no!». In un batter d’occhio i parenti si passarono tutti la voce. «Sto figlio ha 5 anni e già parla.. Non era mai successo un caso simile nella nostra famiglia!». Infatti le prime parole che mio cugino riuscì a dire spedite, furono il giuramento sotto militare. Però la notizia rimase circoscritta alla famiglia perché ai tempi si era più sempliciotti; a mia mamma non sarebbe mai venuto in mente di postare una mia foto sui social per poi taggare tutti (allora non esistevano ancora le taggesmutter). E così, iniziò una specie di pellegrinaggio di parenti. Per venire a vedermi arrivavano anche dall’estero, tipo Ala o Borghetto. Li avevo tutti intorno «Questo figlio è un prodigio.. è proprio un ragazzino prodigio» dicevano, e i paragoni con Tiziano Mellarini si sprecavano (all’epoca, l’attuale assessore era usato come esempio di enfant prodige perché dopo soli tre anni che faceva la quinta elementare, improvvisamente, da solo, senza l’aiuto di nessuno, cominciò a distinguere la O dalla Q).
I miei chiamarono subito il presidente della Provincia per benedire la casa, ricordo che venne Dellai (che era già al suo tredicesimo mandato), accompagnato da Giorgio Tonini (già allora membro di un’ottantina di commissioni), ed entrambi ebbero parole di elogio per me. «Questo bambino è destinato a grandi cose. Se continua così può diventare assessore alla cultura. E finito il mandato, lo metteremo al turismo, poi allo sport, poi alla salute, alla malattia, finché morte non lo separi» disse Dellai. «E al momento della pensione, lo infiliamo nel direttivo di qualche partecipata della Provincia!» aggiunse il già allora senatore a vite, Tonini.
E invece, io volevo fare l’artista. Ricordo quando lo dissi a mio papà. Lui mi guardò: «Ragazzo mio, se vuoi fare l’artista sappi che il primo periodo fai la fame». Io zittii, ci pensai, e chiesi «sì, ma dopo..?» «dopo ti abitui».

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