Politica di primedonne ma senza leadership
Politica di primedonne ma senza leadership
La politica trentina, negli ultimi mesi di avvicinamento alle elezioni provinciali del 21 ottobre, è parsa segnata dai capricci di primedonne (tutti uomini) senza leadership, più che dalle scelte razionali di partiti e movimenti politici. E il risultato sconfortante è sotto gli occhi di tutti.
Dal 4 marzo per settimane ci si è interrogati sulle mosse di Geremia Gios, con la sua fantomatica «Rivoluzione felice», passato da potenziale leader del centrodestra, a leader dei «civici» e infine a leader di niente, perché se ne starà a casa. Rivoluzione rinviata.
Ancora più acrobatiche sono state le evoluzioni di Carlo Daldoss, che da assessore tecnico di Ugo Rossi ha mollato la giunta per diventare leader e candidato presidente dei sindaci «civici»; poi ha tentato il colpaccio di farsi indicare come candidato presidente della alleanza più grande con Pd e Upt e sinistra, nel nome del fronte unito per salvare il Trentino dalla Lega, ma dopo essere stato mollato dai «civici» non ha ricevuto l’investitura dal centrosinistra. Risultato: visto il flop personale anche lui ha deciso che al futuro del Trentino ci penserà qualcun altro. E se ne resterà a casa, nonostante l’Upt, in disperata ricerca di un leader, abbia tentato l’impossibile per riagganciarlo.
Con Daldoss sparisce anche il «polo civico», lanciato con tanta enfasi dal sindaco di Rovereto, Francesco Valduga, pure lui per mesi sotto i riflettori per nulla. Il progetto era così solido che gli aderenti dopo un minuto si erano già dispersi, in particolare in direzione centrodestra, come il sindaco Mattia Gottardi, che ha trovato ospitalità nella lista della Civica trentina.
Ma la sindrome da «prima ballerina» ha colpito duramente soprattutto la maggioranza, portando il centrosinistra autonomista alla sua disgregazione, con un concorso di azioni suicide. Il presidente uscente Ugo Rossi, con il suo aut aut è riuscito in quello che sembrava impossibile: farsi bocciare da Pd e Upt senza che neppure ci fosse un candidato alternativo. È bastato il «Signor Nessuno» per detronizzare il governatore uscente, che pensava di avere la strada spianata anche per le divisioni interne al Pd. Non lo hanno voluto. E allora Rossi ora corre da solo.
Nel Partito democratico le rivendicazioni personali hanno minato negli ultimi cinque anni ogni possibile e concreta costruzione di una leadership alternativa a Rossi, se questo voleva essere l’obiettivo per la tornata elettorale 2018. Il vicepresidente Alessandro Olivi e l’assessore Luca Zeni non hanno mai smesso di farsi la guerra, boicottandosi e annullandosi a vicenda, tanto da arrivare alla fine a sostenere Rossi, non potendo convergere su un nome del proprio partito o peggio su altre figure, come quelle emerse fuori dal loro controllo, come l’outsider e imprevisto Paolo Ghezzi.
E ora che solo grazie alla disponibilità di Giorgio Tonini il centrosinistra è riuscito a rimettere in piedi una coalizione presentabile, Olivi tiene addirittura con il fiato sospeso il Pd, paventando un ritiro che danneggerebbe il partito. Altri, come Bruno Dorigatti, hanno abbandonato la nave all’ultimo, appena vista la malparata, ma l’addio di Olivi sarebbe certamente più pesante.
Alla politica e ai partiti, anche a quelli strutturati e democratici, servono leader: il dramma di questa stagione della politica trentina è che si vedono tante primedonne, ma senza leadership.