L'avventura di una chiamata

L'avventura di una chiamata

di Giancarlo Bregantini

Ogni volta che si parla della propria scelta di vita, non so perchè, ma si finisce sempre per discorrere sulla felicità. È come se dentro di noi c'è come un vulcano che sente, improvvisamente, il bisogno di eruttare, di colare domande, di cercare risposte. Ne parlo oggi perchè è la data del mio 40°anniversario di sacerdozio. Una memoria che si fa riconoscenza e anche consolidamento. Abbandonarsi a Colui che ci ama è tutto ciò che conta e che dona senso. Lo sperimento sempre con più forza.  

Era un sabato di luglio, quel mio primo giorno da prete, a Crotone, in un poverissimo quartiere del centro storico. Case umili, ammassate. Sentivo il pianto dei bimbi, nel convento di santa Chiara, dove vivevo con la mia Comunità stimmatina. Ma sentivo anche l'esuberanza vivacissima dei ragazzi, come quando, furtivamente, si infilarono nella sala per il piccolo rinfresco, dopo la cerimonia in cattedrale. E ripulirono i tavoli, ben preparati. Non ci rimasero che le briciole, tra affettuoso stupore di mia mamma Albina, giunta a Crotone, dal Trentino, dopo un viaggio di 28 ore di treno. Con mia zia Ilda e la vicina di casa, Amelia.

Persino il fotografo, per un errore tecnico, ci lasciò a bocca asciutta. Niente foto di quell'evento decisivo. Ci fu invece tanto amore, da parte di tutti. Ad iniziare dal Vescovo mons. Giuseppe Agostino, vero educatore pastorale per me. Da lui, appresi stile di dialogo, cura nelle omelie, forza nei segni, passione per il Vangelo, chiarezza nelle denuncie contro la mafia, discernimento sui preti. Ero giunto così nell'assolata Calabria dalle verdi vallate trentine, coperte di mele, mi misi subito all'opera, seguito affettuosamente dalla mia comunità stimmatina, povera ma bella, vera. Con padre Tarcisio, trentino della Val di Cembra, superiore e poi mio inseparabile segretario; con padre Ignazio, vigoroso delle Giudicarie, con lo zelante padre Silvano e l'amico per eccellenza, padre Bruno. Volti fraterni, di solidale condivisione tra gioie e fatiche. A cominciare dal dialetto calabrese, nei vicoletti del quartiere. 
Quando ci si dona a Dio c'è, infatti, una cosa soprattutto che non abbandona mai chi sceglie questa strada del sacerdozio, e cioè la certezza che corri un rischio altissimo tutti i giorni. E si tratta di quel rischio che esige un'adesione totale ad un «sì» per sempre. Da custodire con tutte le forze dell'obbedienza, dell'umiltà, della pazienza. Con animo gioioso. Capace di fiducia illimitata in Colui che ti ha scelto. Con fede incrollabile, fatta di combinazioni misteriose, di evidenze e inondazioni segrete di speranza, anche quando lo invochi e Lui risponde col silenzio. O quando si fa complice delle tue missioni più irte e spinose. Lo scopri lì che ti precede con la Provvidenza, che rischiara le notti con stelle che mai avevi notato così luminose e rassicuranti. E ti spingi, anche oltre i cancelli più alti e arrugginiti, li oltrepassi e scopri che Lui aveva già preparato un giardino di armonie, di meraviglie. 
Quando Dio chiama, il primo a mettersi in cammino è proprio Lui accanto a te. È la convinzione che mi accompagna per tutta la vita. Lasciarsi conquistare dalla gratuità. Non sento altro che questo come segno portante nel dono radicale della mia vita. Sapendo cosa significa una scelta definitiva nella vita, è per questo che incoraggio e ammiro molto chi resta fedele alla propria chiamata, perchè ci si misura con l'eternità, in mezzo ai rovi delle provvisorietà del mondo. E questo oggi è davvero fondamentale, perchè quando non c'è un decisione autentica e solida, che dura nel tempo ravvivandosi e portando copiosi frutti, è allora che l'apatia bussa alla porta e tutto diviene grigio, appassito, frustrante. La madre di tutti i vizi è questo stare abulico, in mezzo alla folla del mondo, senza più passione né entusiasmo. 

«L'indifferenza - diceva Pascal - è il sonno volontario dell'anima (...) un abbrutimento universale della facoltà morali". L'indifferenza è l'anticamera dell'immobilismo, dell'essere sempre divisi dentro. È quel luogo dove tutto va inaridendosi e spegnendosi. E questa insidia attenta ciascuno, nei diversi cammini, per ogni ambito di vita. Vale cioè per il prete e per il genitore, per tutti. L'incontro con una chiamata dal profumo decisivo, nella disponibilità di una aurora sempre splendente, ci porta invece a gustare il culmine, a raggiungere il cuore delle cose, a non fermarci alla superficie, a fecondare il proprio tempo con un vissuto intarsiato di eventi, esperienze, difendendo in noi il valore di ciò che siamo davanti a Colui che ci ha chiamati ad essere. Felici. Veri. Uomini.

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