Dalla vite, al Cibio fino al Muse. Quindici anni di genoma «trentino»

I successi insegnano che i soldi in ricerca sono sempre ben spesi

di Leonardo Pontalti

15 (quindici): tanti sono - ormai - gli anni trascorsi da quando in Trentino la parola genoma ha cominciato a circolare, anche al di fuori della cerchia di ricercatori, medici, addetti ai lavori.

Correva il settembre del 2003 quando a San Michele venne scoperta la mappa dei cromosomi della vite, dopo che già da qualche anno in provincia (e in Provincia), con i vari attori impegnati in primo piano nella ricerca si era deciso di puntare sulle biotecnologie: quelle «verdi» appunto, in campo agricolo, ma anche quelle «rosse», in campo medico, applicate all’uomo.

Qualche anno dopo, nel 2007, era arrivata la nascita del Cibio, i cui ricercatori qualche settimana fa hanno stupito il mondo annunciando la scoperta della proteina evoCas9, in grado di intervenire nella modifica del Dna malato.

Ad unire con una sorta di filo rosso questi anni di impegno - seppur su fronti diversi - nelle biotecnologie, c’è ora anche una mostra del Muse sul genoma umano: tra i curatori, non a caso, c’è anche Lucia Martinelli (assieme a Patrizia Famà e Paolo Cocco), che è ricercatrice del Muse ma ha trascorsi proprio alla fondazione Mach. Un evento che permetterà a tutti di conoscere meglio un ambito sempre più decisivo per la nostra quotidianità e la nostra salute, come dimostra la pioggia di richieste che sta investendo il Cibio riguardo all’incontro che, domani, vedrà i ricercatori illustrare al pubblico le scoperte fatte nel campo dell’editing genomico.

Quindici anni, un percorso lungo e segnato spesso dallo scetticismo, tanto per quel che riguarda la ricerca di San Michele che per quel che concerne gli investimenti, sia dell’Ateneo nel campo biotech, sia dell'ente pubblico nella realizzazione del Muse. Il presente ci consegna una lezione, che la politica spesso stenta ad imparare: i soldi investiti in ricerca non sono mai sprecati, e non sono mai troppi.

Semmai il contrario: tra il 2005 e il 2015, gli investimenti annui in Italia in ricerca sono cresciuti dall’1,05 all’1,33% del Pil, cioè da 15,5 a 21,8 miliardi di euro. Tuttavia, la distanza rispetto al resto dell’Unione, dove la media è del 2,03% del Pil, rimane evidente. In Francia lo scorso anno sono stati spesi 48,6 miliardi di euro (2,23% del Pil), nel Regno Unito 43,8 miliardi (1,7% del Pil) e in Germania 87,1 miliardi (2,87% del Pil).

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